“Monsters & Co.” di Pete Docter, David Silverman, Lee Unkrich
Situato in quella zona franca dell’immaginazione dov’è possibile regredire, diventare piccolissimi, perdere il senso dell’orientamento e abbandonarsi al disorientamento della fantasia. Riproponiamo la recensione del film in occasione dell'uscita in sala dal 13 giugno in versione 3D
L’immaginario cinematografico disneyano che tanto profondamente ha segnato la capacità di sognare e di risvegliare le forze irrazionali, vitalistiche, sanamente depurate dalle scorie del cinismo e dalla consapevolezza del mondo adulto, sembrava negli ultimi anni aver subito una battuta d’arresto, troppo perso nell’operazione cerebrale di dare sempre più raffinata forma grafica a mondi già fortemente codificati nella letteratura – Il gobbo di Notre Dame – o nella mitologia –Hercules e Atlantis – perdendo di vista ciò che direttamente mira a folgorare il cuore e la mente: l’emozione e il divertimento.
Qualità curiosamente recuperate dal parallelo e inaerestabile sviluppo tecnologico dell’animazione computerizzata in 3d che ha attraversato la vecchia fabbrica dei sogni rivestendola di una nuova luminosa perfezione grafica dove al tratto dei disegnatori si sostituiscono i miracoli della Pixar.
E dopo i primi due capitoli della saga di Toy Story e l’odissea nel mondo degli insetti di A Bug’s Life, il geniale John Lasseter – per interposto dell’esordiente Pete Docter – intraprende un viaggio nel cuore di tutto ciò che rappresenta le paure, i desideri, i sogni infantili.
Perché Monsters & Co– più propriamente in inglese Monsters, Inc ovvero la fabbrica dei mostri- è situato in quella zona franca dell’immaginazione dov’è possibile regredire, diventare piccolissimi come la piccolissima Boo, perdere il senso dell’orientamento e abbandonarsi al disorientamento della fantasia. La prospettiva è capovolta dall’inizio, da quando vediamo l’addestramento di un mostro spaventatore che, durante una simulazione, dovrebbe far urlare un bambino. Solo che alla fine è lo stesso mostro ad essere spaventato dal bambino meccanico. Siamo già nel cuore del film. Sappiamo che i mostri di questa fabbrica non potranno spaventarci e che il mondo parallelo che abitano è la trasfigurazione animata tridimensionalmente del mondo che abitiamo, dove tutto può essere identico e vicinissimo quanto irriconoscibile e deformato. Sentiamo che la quotidianità di Mike e Sully, scandita in gesti ed azioni compiute da un qualsiasi anonimo impiegato di una qualsiasi anonima ditta, ci appartengono, riproviamo il piacere di un processo d’identificazione e d’abbondono assoluto, totale, liberatorio perché gli occhi si liberano dalla sospensione del principio d’incredulità che ci farebbe vedere in Sully soltanto un grosso orso dai colori eccentrici e in Mike un piccolo occhio verdastro. Entrambi sono invece portatori delle emozioni primarie, opposte eppure combacenti che si accavalano sul volto di ogni bambino e di ogni adulto al di là delle sovrastrutture in cui sta soffocando: il riso sfrenato e il pianto irresistibile- e Sully scoprirà come le risate e non le urla dei piccoli potranno essere la fonte d’energia per il mondo dei mostri – l’orrore e il divertimento, il sogno e l’incubo.
Nello sguardo di Boo – portatrice a sua volta nel nome datole da Sully dello stadio primordiale dell’immaginazione, del suono, della parola – il mondo dei mostri si fa fantasiosa iperbole del racconto, della favola popolata volta a volta
da personaggi ora spaventevoli ora spassosi e il godere della meraviglia e dello stupore contenuto nei suoi occhi così perfettamente falsi da essere più veri del vero, apre un’altra porta per il viaggio a ritroso verso la nostra necessità di lasciarsi sedurre da un’illusione.
Titolo originale: Monsters Inc.
Regia: Pete Docter
Distibuzione: The Walt Disney Company
Durata: 92’
Origine: Usa, 2001