“Pacific Rim”, di Guillermo Del Toro


Fra creature titaniche che sfidano i limiti dell'inquadratura, ritroviamo il regista che abbiamo imparato a conoscere e amare: quello che articola la propria poetica attraverso il confronto con i legami affettivi, più o meno parentali, per dare forma a un'umanità interconnessa, in un ritratto di precisa compiutezza

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Mako Mori Pacific RimIl gioco più facile sarebbe quello di seguire il filo dei ricordi e tracciare la mappa dei riferimenti, fra cartoon d'infanzia e fantascienza nipponica: ma lo lasciamo a chi, da mesi, polemizza sui presunti plagi da Evangelion senza sapere che Guillermo Del Toro è un grande amante degli anime giapponesi e quindi parla semplicemente un linguaggio che gli appassionati non possono non riconoscere. Almeno un nome però conviene farlo, ed è quello di Mitsuteru Yokoyama, grande pioniere del genere mecha, autentico teorizzatore del titanismo meccanico come pesantezza dei corpi metallici: Pacific Rim è un continuo tentativo di smarginare rispetto ai limiti imposti dal bordo dell'inquadratura, che diventa così incapace di contenere l'imponenza delle creature e la furia dei colpi che si abbattono letteralmente sulla pelle dello spettatore. Una battaglia a superare un confine enorme, che però diventa poi piccolo e iscritto nei drammi dei personaggi.

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Qui ritroviamo infatti il Del Toro che negli anni abbiamo imparato a conoscere e amare. Non solo l'autore che adora il fantastico e che si crogiola nel gusto per la creazione dei suoi mostri (complice anche un digitale quanto mai materico e “pieno”); ma anche e soprattutto il cantore di un'umanità che vive in una perenne dialettica con i retaggi del passato e che articola la propria poetica attraverso il confronto con i legami affettivi, più o meno parentali. Siano essi quelli determinati dalla figura paterna, qui simboleggiata idealmente da uno splendido Idris Elba, o quelli derivanti dalla perdita del congiunto con cui stabilire la proverbiale interconnessione.

 

Il personaggio cardine diventa così l'unico privo di legami, apolide e senza consanguinei, la Mako Mori di Rinko Kikuchi: figura cardine per pagare dazio all'origine giapponese dei mecha anime e alla “grammatica” degli orfani deputati a pilotare i giganteschi robot; ma anche un personaggio indispensabile per stabilire il limite da superare, ovvero quello di una indeterminatezza umana provocata dalla mancanza di radici e legami. E' come se la sua condizione di figura fuori Pacific Rim Jaeger contro Kaijufase rispetto a un mondo dove ogni team è formato da fratelli o da padri e figli, sia una sorta di prefigurazione di un universo nel quale non serve più il legame di sangue diretto (molte sono infatti le perdite che i protagonisti sopportano direttamente in tal senso), perché la connessione che si deve stabilire è quella con l'umanità intera, dove si è deciso di “credere gli uni negli altri”. Dove un regista messicano che ha abbandonato il suo paese per la Mecca del Cinema può raccontare una storia che mette sullo stesso piano Australia, Giappone, Russia e Stati Uniti in una grande struttura corale.

 

La dicotomia Jaeger/Kaiju diventa così il passaggio attraverso il quale gli umani possono unirsi in una sfida comune che permetta di superare categorie, rivalità e ruoli, dove il giovane inesperto può afferrare con foga il braccio di un suo superiore annullando le distanze gerarchiche, dove la scelta dei piloti con cui fare squadra si determina attraverso lo scontro fisico (il duello fra Raleigh e Mako) e le battaglie diventano un tripudio di colpi sferrati con forza, al di là della componente squisitamente tecnologica chiamata in causa dagli avveniristici macchinari. Non a caso le armi davvero “hard sci-fi” sono poche, rispetto ai pugni e alle coreografie da autentici wrestler di metallo.

 

Da questo versante, Del Toro non cerca di superare i limiti del visibile come fa Michael Bay con i suoi magnifici Transformers: l'immagine gli è sufficiente (come già evidenziato, il suo limite è solo il bordo dell'inquadratura) perché determina lo spazio in cui muoversi bene, come fanno i suoi Jaeger nelle profondità marine. L'avventura assume così un sapore retrò, paleoindustriale, più vicina al classicismo del sottovalutato Real Steel e alla purezza lucasiana (non a caso si sta parlando di nuovo Star Wars) che allo sperimentalismo spielberghiano. D'altra parte, il confronto che gli interessa è quello che guarda al passato e quindi reinventa soprattutto il già fatto, siano esso, appunto, i mecha anime o i kaiju-eiga alla Godzilla. Alla fine il cerchio dei riferimenti si chiude in un ritratto di precisa compiutezza.

 

Titolo originale: id.

Regia: Guillermo Del Toro

Interpreti: Charlie Hunnam, Idris Elba, Rinko Kikuchi, Charlie Day, Ron Perlman

Distribuzione: Warner Bros

Durata: 131’

Origine: USA, 2013

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