"L'ultimo imperatore 3D", di Bernardo Bertolucci

L'ultimo imperatore

Diciamocelo: ogni scusa è buona. Quest'opera di Bertolucci è un caso rarissimo di film invisibile nonostante i nove Oscar, gli incassi miliardari, la diffusione e la fama mondiali. A tutt'oggi rimane un oggetto assolutamente incompreso ed equivocato. Ben vengano, allora, riedizioni “in tre dimensioni”

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L'ultimo imperatoreDiciamocelo: ogni scusa è buona. L'ultimo imperatore è un caso rarissimo di film invisibile nonostante i nove Oscar, gli incassi miliardari, la diffusione e la fama mondiali. A tutt'oggi rimane un oggetto assolutamente incompreso ed equivocato. Ben vengano, allora, riedizioni “in tre dimensioni” in cui di tridimensionale non c'è davvero nulla, se serve a riportarlo in superficie: non lo si farà mai abbastanza.

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È impensabile, del resto, aggiungere la terza dimensione a un film del genere. Il suo dato di fondo, come tutto Bertolucci, è l'extimo, l'intimo che si scopre estraneo, l'interno che diventa esterno e viceversa. Se dentro e fuori si scambiano le parti, parlare non solo di tre dimensioni, ma già di due, non ha senso. La Città Proibita in cui scorrazza il piccolo sovrano (Pu Yi, ultimo della dinastia imperiale all'alba del Novecento) non è che l'interno del corpo, il rosso paradiso solipsista in cui il bambino (qualunque bambino) si autorinchiude compiaciuto, prima che arrivino a turbare il suo equilibrio l'Immagine Allo Specchio, la differenza sessuale, il mondo esterno (i tumulti dopo la prima guerra, l'invasione giapponese, la Rivoluzione). Percorsa dolorosamente tutta la parabola, scontata l'autobiografia fino al punto da farne la confessione sofferta del proprio anacronistico narcisismo, si scopre che “la Storia là fuori” con le sue bandiere rosse è sempre lo stesso rosso, che il “principio di realtà” che manda in frantumi il “principio di piacere” è fatto letteralmente della stessissima pasta di quest'ultimo. Qui come là, dentro di sé come fuori, la stessa infinita superficie su cui non può non innestarsi il piacere, e dunque non può più dirsi delizia solipsista ma condanna irrevocabile e perpetua. Fare piccoli film personali post-nouvelle vague si scopre identico a firmare megacoproduzioni internazionali miliardarie, perché qui come là è sempre la stessa infinita superficie.

L'Io, insomma, è un risibile baluardo anacronistico che aspetta di essere travolto dalla Storia, come la corte imperiale dentro il secolo breve. Scopertosi conformista nel momento in cui si mette a negoziare col nemico per salvaguardare la sovranità perduta, l'Io si rende conto che l'unica soluzione è sparire nella superficie, aderire così strettamente ad essa da non esserci più. Così sparisce Pu Yi, anziano, dopo aver comprato il biglietto per entrare in quella che fu la sua reggia: come si entra al cinema, a vedere ciò che è l'automatismo ottico dello spettatore stesso a inventare. Entrare dove entrare non si può, perché è il proprio stesso interno, spazializzato: dentro, ci si è già a priori. Senza bisogno di due o tre dimensioni.

 

Titolo originale: The Last Emperor

Regia: Bernardo Bertolucci

Interpreti: John Lone, Joan Chen, Peter O'Toole, Ying Ruocheng, Victor Wong

Distribuzione: Videa

Durata: 160'

Origine: Italia/Francia/Gran Bretagna 1987

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    Un commento

    • perché sarebbe invisibile, questo film? E' uscito più volte in dvd, in tv mi pare passi con una certa regolarità. I film invisibili sono altri.