"Emperor", di Peter Webber

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Peter Webber conferma di essere più interessato alla fedeltà della superficie della Storia che alla sostanza delle vite che la agitano e la muovono. Un regista "filologo" che ricostruisce alla perfezione l'apparenza degli avvenimenti, sicuro che sia questa stessa apparenza a raccontarli meglio di ogni altra prospettiva

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emperorL'atto finale della Seconda guerra mondiale. All'indomani della resa del Giappone, piegato dall'atomica e dai sacrifici, il destino del Paese è nelle mani di uno straniero, il comandante supremo delle forze alleate, il generale Douglas MacArthur. A lui tocca indicare le responsabilità dell'imperatore Hirohito riguardo all'attacco a Pearl Harbor e alle decisioni del comando militare giapponese. Un Hirohito criminale di guerra, quindi da processare e condannare a morte o un imperatore di "facciata", sostanzialmente impotente rispetto a scelte determinate da altri? MacArthur affida al generale Bonner Fellers il compito di trovare le prove, nella consapevolezza che una condanna sarebbe il colpo di grazia per quel che resta del Giappone.

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Peter Webber conferma di essere più interessato alla fedeltà della superficie della Storia che alla sostanza delle vite che la agitano e la muovono. Un regista "filologo" che ricostruisce alla perfezione l'apparenza degli avvenimenti, sicuro che sia questa stessa apparenza a raccontarli meglio di ogni altra prospettiva. Meglio, sicuramente, delle trame segrete tessute dalla scrittura di Vera Blasi e David Klass. Ecco, Webber è un regista di calchi, uno che ama copiare ancora i quadri di Vermeer. Ed è una chiara dichiarazione di metodo il momento della foto "irrituale" di MacArthur e dell'imperatore Hirohito, in cui la posa di Tommy Lee Jones ricalca con estrema precisione il documento storico (che ovviamente viene mostrato alla fine, a suggello della correttezza della ricostruzione). Il cinema si conforma alla versione tramandata, già consegnata ai posteri. Nonostante tutto il film sembri voler raccontare il lato nascosto delle cose, non rimane nulla se non l'immagine ufficiale, la storia già detta. Il resto è ipotesi, congettura, un sogno fatto a occhi aperti o materializzato tra la confusione dei ricordi. Quello del generale Fellers è un punto di vista precario e parziale, che giustamente suscita il biasimo del burbero e paterno MacArthur di Tommy Lee Jones (sempre enorme). "Mancano le prove". Eppure, proprio quel punto di vista è l'unico sperato e voluto. E diviene un fatto solo nel momento in cui il comandante supremo lo trasforma in Storia.

 

Stranamente è proprio questa fedeltà al dato l'aspetto più affascinante di Emperor. Perché da un lato testimonia la fede profonda nella superficie dell'immagine, ma al tempo stesso il limite di un cinema incapace di commuovere o muovere oltre quella superficie. La filologia rischia di diventare calligrafia (lo spirito e il ritualismo giapponesi…). E non è un caso che a pagarne il prezzo è la vicenda sentimentale del film, l'infelice storia tra Fellers e la giapponese Aya. L'immagine ufficiale non ha chiaroscuri, non ha odio né amore.

 

Titolo originale: Id.

Regia: Peter Webber

Interpreti: Tommy Lee Jones, Matthew Fox, Eriko Hatsune, Takataro Kataoka

Distribuzione: One Movie

Origine: USA, 2013

Durata: 98’

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