Hannah Arendt, di Margarethe Von Trotta

Barbara Sukowa in Hannah Arendt, di Margarethe Von Trotta

La Von Trotta intreccia con cura il pubblico e il privato della protagonista, soffermandosi in particolare sui suoi rapporti sentimentali e di amicizia legando il tutto allo sviluppo del suo pensiero politico. Ma questa doppia natura sembra non far emergere nessuno dei due aspetti. Il film sarà nelle sale italiane solo il 27 e il 28 gennaio

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Barbara Sukowa in Hannah Arendt, di Margarethe Von TrottaLa decisione di Margarethe Von Trotta di perseguire un ritratto di Hannah Arendt circoscrivendolo a un periodo preciso della sua vita, gli avvenimenti riguardanti il processo di Eichmann a Gerusalemme e la conseguente pubblicazione del suo celebre testo La banalità del male e la controversia che immediatamente ne scaturì, denota una volontà di tentare la strada non della rappresentazione biografica ma del mostrare il pensiero nel suo farsi. Un tentativo che ha i suoi meriti ma che non può dirsi del tutto riuscito.

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Così come nei suoi precedenti film su importanti figure femminili, la Von Trotta intreccia con cura il pubblico e il privato della protagonista, soffermandosi in particolare sui suoi rapporti sentimentali e di amicizia legando il tutto allo sviluppo del suo pensiero politico. Ma questa doppia natura sembra non far emergere nessuno dei due aspetti, lasciando tutto sullo sfondo. Non si può fare a meno di notare come alcuni passaggi, in special modo le scene ambientate nella redazione del New Yorker, siano forzatamente didascalici nel voler riassumere in poche battute la portata del pensiero della Arendt, come a voler recuperare gli spettatori meno informati. Ma questo accade anche sul versante opposto, dove seppur molta attenzione viene posta ai rapporti umani della Arendt (per smentire forse le molteplici accuse riguardo alla sua freddezza e disumanità elargite anche nel film) sembra manchi un vero quotidiano, che nonostante emerga in alcune scene domestiche, viene sommerso dalla quantità di riprese in cui Hannah fuma e osserva il vuoto con fare pensoso, una sottolineatura fin troppo scontata del lavoro teorico che ella conduceva instancabilmente che assume quasi i tratti della parodia.Il non riuscire a collocarsi in uno spazio ben preciso è da un lato un merito che denota il coraggio di tale scelta, ma tradisce d’altronde una mancanza di target preciso.

Il limite del film è riassunto dalla scena in cui Hannah segue il processo dal televisore della sala stampa, procedimento attraverso cui la Von Trotta ricorre al materiale d’archivio della vera registrazione, mostrando il volto di Eichmann in persona. Lo scambio di sguardi fra i due, mediato non solo dal mezzo televisivo, ma dall’effettivo vuoto temporale fra la persona e l’attrice, evidenziato anche dalla manifesta differenza di formato e di qualità delle due immagini, sottolinea l’impossibilità del film di contenere la complessità dello sguardo di Eichmann, e di contro del pensiero della Arendt. Il rischio maggiore che il film corre, di conseguenza, non è quello di risultare noioso o scontato, ma peggio, inoffensivo.

 

Titolo originale: Id

Regia: Margarethe Von Trotta
Interpreti: Barbara Sokuwa, Axel Milberg, Janet MecTeer, Julia Jentsch, Ulrich Noethen, Michael Degen, Nicholas Woodeson, Victoria Trauttmansdorff, Klaus Pohl
Origine: Germania, Lussemburgo, Francia, 2013
Distribuzione: Nexo digital
Durata: 113’

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