Ida, di Pawel Pawlikowski


Pawel Pawlikowski delinea nei tratti puliti ed essenziali di una tavolozza in bianco e nero il ritratto di due immagini speculari della femminilità, affidando la narrazione unicamente all'espressività del corpo. La narrazione è affidata ai piccoli e impercettibili gesti del quotidiano che risuonano forte nei silenzi infiniti della campagna polacca

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 Ida e Wanda, due espressioni opposte e speculari della femminilità, si incontrano nella Polonia degli anni Sessanta, che ancora si sta asciugando le lacrime e si sta rialzando a fatica dalla guerra, e intraprendono insieme un viaggio alla ricerca della verità sulla sorte che è toccata alla loro famiglia e su ciò che si cela nel profondo dell’anima. L’una, austera e dalle convinzioni granitiche, sta per prendere i voti, mentre l’altra, ormai al tramonto della vita, è una donna emancipata che saltella spensierata da un locale all’altro e non disprezza la compagnia degli uomini, ma che è profondamente sola. Il destino comune di solitudine interiore le unisce misteriosamente e le fonde l’una nell’altra annullando le differenze culturali e ideologiche in un desiderio bruciante di capire il mondo e loro stesse, mentre seguono le tracce della loro storia.

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Passando dal silenzio assordante dei paesaggi desolati della Polonia, in cui il tempo sembra essersi fermato all’epoca della distruzione, alla musica alla moda dei club di jazz in cui già si respira il fermento della rivoluzione culturale che sta per arrivare, Ida scopre le origini ebree e sperimenta i primi impulsi peccaminosi verso l’altro sesso. Il viaggio diventa una scoperta del sé, e quando si scioglie i capelli e sale per la prima volta sui tacchi prova la sensazione travolgente di essere desiderata e di avere un potere irresistibile sugli uomini. Lontano dall’austerità del convento, Wanda è la chiave per entrare in un territorio sconosciuto, in cui un’umanità rumorosa e imperfetta offre un conforto più immediato ma meno appagante della preghiera agli animi oppressi, e promette un futuro felice senza la pretesa di aspirare alla vita eterna.

Pawel Pawlikowski entra nell’universo femminile con discrezione, affidando ad una fotografia pulita ed essenziale il ritratto delle due donne, che si delinea netto su una tavolozza in bianco e nero senza crogiolarsi in inutili orpelli stilistici. La narrazione è affidata ai piccoli e impercettibili gesti del quotidiano che risuonano forte nei silenzi infiniti della campagna polacca che si perde oltre il limite umano dello sguardo in un tempo sospeso tra il presente e il passato.

Pawlikowski scava a fondo sotto le ceneri di una terra devastata e nel profondo delle due anime tormentate rimanendo sempre lo spettatore dietro una camera fissa, che non irrompe violentemente nelle loro vite ma che aspetta che si muovano davanti ai suoi occhi assecondando i tempi scenici spontanei. L'occhio è puntato interamente sul personaggio che, nonostante scompaia rispetto alla vastità degli sfondi, riesce ugualmente a gridare a gran voce il suo dolore, senza che nessun elemento nè visivo nè sonoro si frappponga tra lui e le sue emozioni, lasciando unicamente al corpo il compito di veicolare il turbamento, l'indecisione e la sofferenza più profonda.

Titolo originale: id.
Regia: Pawel Pawlikowski 
Interpreti: Agata Trzebuchowska, Agata Kulesza, Joanna Kulig, Dawid Ogrodnik, Adam Szyszkowski, Jerzy Trela
Origine: Danimarca, PoloniA, 2013
Distribuzione: Parthenos
Durata: 80'

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