Grace di Monaco, di Olivier Dahan


Il film utilizza la vicenda di Grace Kelly per imbastire un feuilleton vecchio stile clamorosamente efficace, con tanto di spie, detective privati che scattano foto di nascosto, traditori insospettabili a corte, strategie e intrighi di palazzo. L’idea e’ a suo modo anche coraggiosa, e Dahan la esplicita ogni volta che puo’ infiltrando nel film degli apertissimi omaggi/rimandi a sequenze di classici hitchcockiani, un espediente anch’esso emblematico della fenomenale e amabile ingenuita’ del film

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Il trucco per affrontare nella giusta maniera l’ottimo film di apertura di Cannes 67 e’ non perdere mai di vista anche con la coda dell’occhio il Ranieri di Tim Roth (il discorso vale pure per il Conte D'Aillieres di Derek Jacobi, fin quando e’ in scena).
Ad esempio, in una delle sequenze centrali dell’opera, Grace Kelly per un attimo ritrova commossa e radiante le luci della ribalta del suo passato d’attrice, stringendo decine di mani e firmando autografi ai sudditi in adorazione sotto i flash dei giornalisti assiepati all’entrata del Ballo della Croce Rossa: in questo modo il film vuole raccontarci che la Principessa ha finalmente compreso quanto il confidente e amico Padre Tucker di Frank Langella tenta di suggerirle da tempo, ovvero che essere la moglie di Ranieri di Monaco e’ in realta’ la possibilita’ per l’attrice hitchcockiana di prodursi nella sua performance piu’ importante e convincente, un nuovo personaggio come quelli interpretati sullo schermo, ma in un set piu’ grande e sontuoso. Ok, non e’ questo che ci importa (di verosimiglianza non ci siamo mai interessati d’altronde).
Ma il modo in cui Ranieri/Roth, ad un angolo dell’inquadratura (per lui forse non vale il consiglio che Hitchcock rivolge come augurio telefonico a Grace, ricordati di non avvicinarti mai troppo ai limiti dello schermo…) osserva la scena, racconta, magari inconsapevolmente, tutta l’operazione di Dahan.

Divertito, sornione e sempre un po’ distaccato dalla materia del film, come se stesse recitando ad un’altra frequenza, Tim Roth sembra aver capito prima e meglio di tutti il tentativo dello script e del regista di utilizzare la vicenda di Grace di Monaco per imbastire un feuilleton vecchio stile clamorosamente efficace, con tanto di spie, detective privati che scattano foto di nascosto, traditori insospettabili a corte, strategie e intrighi di palazzo. L’idea e’ a suo modo anche coraggiosa, e Dahan la esplicita ogni volta che puo’ infiltrando nel film degli apertissimi omaggi/rimandi a sequenze di classici hitchcockiani, un espediente anch’esso emblematico della fenomenale e amabile ingenuita’ del film (e in effetti tutto il plot potrebbe essere tranquillamente visto come una trasposizione principesca del piu’ volte tirato in ballo Marnie).
Eric Gautier gli da’ corda da dietro la mdp con una fotografia di accesissimo effetto-technicolor-vintage, e ovviamente viene da Hitchcock anche quell’insistenza sui primissimi piani stretti e mobili a esplorare il volto di Nicole Kidman, gli occhi la bocca, che invece potrebbe sembrare una soluzione formale piu’ contemporanea.

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Ecco, Nicole Kidman riaffronta qui, traslato nel percorso di segno opposto mirato all’addestramento reale di Grace Kelly, il training anche apertamente attoriale a cui ha dovuto sottoporsi per trasformarsi dalla rossa ragazza acqua e sapone dei primi film all’icona aliena di perfezione estetica che rappresenta oggi: quei frammenti in cui il suo personaggio impara a modulare le espressioni del viso a seconda dell’emozione da esprimere, che lucidamente Dahan ripropone subito prima dei titoli di coda, sono i piu’ straordinari del film perche’ evidentemente molto intimi e vicini alla gabbia dorata di Nicole Kidman ad Hollywood.

 

Titolo originale: Grace of Monaco/Grace de Monaco
Regia: Olivier Dahan
Interpreti: Nicole Kidman, Tim Roth, Frank Langella, Paz Vega, Jeanne Balibar
Origine
: Usa., Belgio, Francia, 2014
Distribuzione: Lucky Red

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