Più buio di mezzanotte, di Sebastiano Riso

Sebastiano Riso insegue il suo protagonista con lunghe carrellate frontali dall’evidentissima ascendenza pasoliniana, e tutta la prima parte del film incentrata solo sulla flanerie del ragazzo è di gran lunga la migliore. Al lungo andare, però, tutto il peso della coraggiosa tematica intasano decisamente un film che forse avrebbe avuto bisogno di una rabbia più istintiva

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È un esordio alla regia importante quello di Sebastiano Riso. Ed è un film che farà molto discutere Più buio di mezzanotte. Molto probabilmente, però, si parlerà poco di cinema e tanto delle dure e coraggiose tematiche che il film affronta chiamando direttamente in causa il suo spettatore. E allora ci sembra giusto e doveroso spostare solo di qualche millimetro l’ottica della discussione (già in atto) per focalizzare l’attenzione sugli aspetti più cinematografici, su quella evidente mediazione estetica perpetrata dal giovanissimo regista nei confronti di una storia (liberamente ispirata a un fatto reale) che riesce già da sola a scuotere le coscienze.

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Davide è un quattordicenne che ha intimamente compreso la sua identità sessuale, non riesce e non vuole reprimere la sua omosessualità, andando evidentemente contro i canoni riconosciuti “normali” dal suo tradizionalista padre. E il film letteralmente pedina Davide nelle sue peregrinazioni nella città (una Catania fotografata straordinariamente) alla ricerca di una nuova comunità che lo accetti come individuo e individuo-sociale, alla ricerca di una sincera condivisione che non riesce a raggiungere nel suo mondo (tranne il rapporto affettuoso con la timida e fragile madre). E inseguendo “rossellinianamente” Davide (il riferimento a Germania anno zero è letterale) il film si incunea in realtà rimosse e scottanti: la prostituzione minorile, l’ipocrisia di una società che sfrutta i suoi figli la notte per poi non riconoscerli di giorno, la violenza e la morte sempre in agguato in questa eterogenea comunità di ragazzi che (per scelta o meno) vivono ai margini della città. Si lotta per un sogno: sorridere di nuovo o cantare liberamente oltre ogni restrizione culturale.

E allora: Sebastiano Riso insegue il suo protagonista con lunghe carrellate frontali dall’evidentissima ascendenza pasoliniana (anche Mamma Roma è lì dietro l’angolo) e tutta la prima parte incentrata sulla fluttuante flanerie del ragazzo (che si limita a osservare il mondo notturno) è di gran lunga la migliore del film. Un occhio registico interessante e a tratti sorprendente. Al lungo andare, però, tutto il peso della tematica (il rapporto con il padre, le violenze psicologiche subite) e i riferimenti alti che tira in ballo (Gus Van Sant, tanto per citare un'altra evidenza) intasano decisamente un film che avrebbe avuto bisogno di una rabbia più istintiva e truffauttiana per risultare convincente sino in fondo. Il trauma del ragazzo che emerge creando sfasamenti temporali nella narrazione o il finale, sin troppo metaforico, sono esempi di cristallina evidenza. Insomma Più buio di mezzanotte si arena pian piano sotto il peso di una riflessione dura, necessaria, ma forse cinematograficamente bloccata da tutta la sua consapevolezza a monte: un notevole potenziale registico un po' troppo frenato.

 

Regia: Sebastiano Riso

Interpreti: Davide Capone, Micaela Ramazzotti, Vincenzo Amato, Pippo Delbono

Distribuzione: Luce Cinecitta'

Durata: 94'

Origine: Italia 2014

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