SPECIALE TRANSFORMERS 4 – Trasformare i Transformers

Transformers 4 Dinobot

Michael Bay ha compreso che i Transformers sono una questione di fronti che devono continuare a essere aperti: per questo la “sua” saga cinematografica diventa il prediletto terreno di sperimentazioni, in una continua logica del prendere e del dare, dove si attinge da una mitologia preesistente, ma la si piega ai propri bisogni di astrazione visiva

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Transformers 4 DinobotMa cosa ci mostra esattamente questo Transformers 4? Lo scontro tra fazioni, e il confronto tra ciò che si deve perdere e ciò che si può guadagnare nella dialettica fra gli opposti. Cade Yaeger deve imparare a lasciar andare sua figlia, ma acquisisce una maturità nuova dall'avventura. Optimus Prime deve riguadagnare la libertà, ma anche apprendere dagli umani a concedere nuove possibilità dopo l'epoca della disillusione. Joshua/Stanley Tucci deve abbandonare i sogni di creare la vita attraverso una tecnologia che gli si ritorcerà inevitabilmente contro, per passare così tra i “buoni” della situazione. E' una questione non tanto di scelte, quanto di passaggi e, se volete, di evoluzione.

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Il che si adatta benissimo al rapporto che ormai si è instaurato fra Michael Bay e i Transformers: un legame fin dall'inizio burrascoso, con l'esigente fandom pronto a procurar battaglia contro chi ledeva il dorato ricordo dei cartoon anni Ottanta. Eppure se una caratteristica è da sempre forte nel brand è proprio quella di prendere e dare dalle varie forme espressive con cui i robot vengono progressivamente a contatto. Già dalle origini, la celebre linea di toys ha espanso il suo concept attraverso fumetti, serie animate, lungometraggi per il cinema, videogame e ora anche i Live Action: passaggio quest'ultimo fra i più importanti per traghettare l'idea fantastica nel reale, per farla letteralmente evolvere e permetterle così di assorbire nuovi stimoli e nuove invenzioni. L'era Bay dei Transformers è qualcosa che si radica in profondità, genera un'estetica nuova perché segna l'abbandono dai classici robot a forma cilindrica e geometrica degli anni Settanta e Ottanta, così come codificati nei manga e negli anime dei pionieri Mitsuteru Yokoyama, Go Nagai, Yoshikazu Yakuhiko e Shoji Kawamori: proprio Kawamori è il nome-cerniera, il creatore della saga di Macross, ma anche il mecha designer del primo Optimus Prime (quando si chiamava Battle Convoy). Una strada che Bay ha avuto l'ardire e la forza di tradire, per giungere così all'astrazione delle forme: via la nettezza dei contorni, i nuovi Transformers sono organismi bio-cibernetici e i loro corpi esibiscono fasci muscolari, nervi, ossa e giunture tutte forgiate nel metallo, mentre nel modo di vivere spesso perdono liquidi, salivano e sputano come gli umani. Non una novità assoluta (tra i fans il capitolo Humanization è uno dei più curiosi e controversi offerti dalla mitologia), ma che la serie cinematografica ha saputo riformulare in un'ottica tanto vicina al nostro piccolo, quanto avanguardista e radicale: prendere e dare, insomma.

 

Transformers 4 particelle in movimentoIl che, a livello visivo, apre innumerevoli possibilità: il movimento di questi giganti meccanici sullo schermo non ha il sapore della pur straordinaria “pesantezza” dei colossi di Pacific Rim. Le loro azioni descrivono particelle in continuo movimento, design “fluidi” che aprono l'immagine a manipolazioni sempre più sfrenate con il prosieguo delle pellicole, in un gioco reiterato di autentica esaltazione della cinetica. Il bello è che, se confrontiamo una qualsiasi delle lotte che vediamo in questi lungometraggi con la nettezza così goffa dei primordi animati, ci rendiamo conto di quanto Bay abbia visto lungo: la collisione dei corpi geometrici del cartoon, così rigidi e uniformi, evoca vaghe suggestioni da opera cubista, che fa capire come già in potenza il brand possedesse una tensione sperimentale che solo i film sono riusciti però a far emergere con la massima potenza, fino alle estreme conseguenze del terminale L'era dell'estinzione.

 

Bay sembra quindi aver compreso che il brand è una questione di fronti che devono continuare a essere aperti. D'altronde cosa aspettarsi da un'idea che ha in sé il geme della mutazione, che vede le creature cambiare continuamente forma, ora robot, ora veicolo o dinosauro o chissà quant'altro? Per questo la “sua” saga cinematografica diventa il prediletto terreno di sperimentazioni, in una continua logica del prendere e del dare, dove si attinge da una mitologia preesistente, ma la si piega ai propri bisogni di astrazione visiva: Transformers è ciò che non poteva (ancora) essere Bad Boys o il pur bellissimo Armageddon, il brodo primordiale in cui intingere il dispositivo di riproduzione cinematografica per renderlo proliferazione assoluta e continua di visioni, sciami di pixel in movimento e set “a livelli” da attraversare con totale mobilità e divertimento.

 

Allo stesso tempo, però, la dialettica è anche feconda nel modo in cui rinnova e ristabilisce la centralità di alcune forme (e formule) molto precise. Ci sono gli Autobot di Optimus Prime e i Decepticon di Megatron e c'è una mitologia dal sapore quasi biblico: l'Allspark che genera la vita, la Matrice del Comando che rigenera il corpo, la Scintilla come trasfigurazione dell'anima umana, i Transformers originali e il Caduto che ha tradito, i Creatori. Concetti che l'appassionato di lunga data Transformers i primi Dinobot 1986conosce grazie ai fumetti di Bob Budiansky o del “guru” Simon Furman, a serie come Beast Wars: Transformers (prima a chiamare in causa la Scintilla) o Transformers: Animated (da cui proviene il bounty hunter Lockdown) e che ritrova rigenerati e rinnovati, ampliando il gioco delle iterazioni e delle continue riscritture. Già, perché l'altra caratteristica portante del format è la sua instabilità mutante, fatta di serialità che ogni volta correggono il tiro, variano, sperimentano nuove possibilità e scrivono nuove origini. Un'unica idea e cento possibili universi da reinventare.

 

A fronte di simili possibilità offerte da una tavolozza che aspetta solo di vedere intinto il pennello dell'artista di turno, non stupisce notare come Transformers 4 sia il veicolo prediletto delle influenze più disparate: riflessione sulla visione cinematografica, ampliamento delle forme, ma anche intimo ritorno alle origini e ai primordi istintuali chiamati in causa dalle scaramucce tra i robot e dall'arrivo dei Dinobot (tra i personaggi più iconici e “storici” del marchio). Michael Bay rispetta ma trasfigura, spinge al limite la sua performance, ma poi staziona volutamente su sentimenti molto “basici” e elementi concreti del set, in un continuo andare avanti e indietro allo stesso tempo. La posta in gioco è tanto semplice quanto complessa: esplorare i confini di un'idea e delle sue infinite possibilità di messinscena e, naturalmente, prendere e dare per far compiere ai Transformers l'ennesima trasformazione.

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