La storia della Principessa Splendente, di Isao Takahata

La storia della Principessa Splendente

Dal maestro dell'animazione giapponese, un nuovo, importante lavoro dello Studio Ghibli, presentato in anteprima a Lucca Comics & Games e ora nelle sale per soli tre giorni. Un racconto fluviale, che vive di singoli momenti in cui far brillare le percezioni dei sentimenti in ballo, e che lascia emergere la forza di un'umanità alla ricerca di una felicità effimera ma non vana. In sala dal 3 al 5 novembre

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La storia della Principessa SplendenteFin troppo facile tracciare il parallelismo fra l'ultimo film di Isao Takahata e il terminale Si alza il vento del collega Hayao Miyazaki: entrambe infatti sono opere che raccontano le difficoltà di protagonisti in cerca del motivo che permetta alle loro esistenze di realizzare le rispettive aspirazioni. Come a dire, alle loro vite di essere percepite come realmente vissute e felici. Ma, nel caso di Takahata, il rapporto è più modulato, lascia emergere un travaglio che ripensa in prospettiva tutto il cammino battuto dall'autore sin dai tempi delle prime lavorazioni televisive.

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Si riparte perciò da Heidi, dal rapporto conflittuale fra un afflato vitalistico che si esprime in un rapporto gioioso e fanciullesco con la natura, contrapposto al rigido cerimoniale di un mondo “adulto” che impone l'osservanza di regole tanto precise quanto disumanizzanti. Così era per la pastorella delle Alpi, così è per la principessa partorita da un fusto di bambù e che sembra trovare l'unico momento felice nelle corse per i boschi con gli amici d'infanzia. Poi arriva la partenza per la capitale, l'educazione imposta dal rango e le divisioni d'animo fra la necessità di obbedire per compiacere il padre e la voglia di fuggire. Nel rapporto fra la semplicità autentica della giovane e il servilismo di un genitore che identifica la felicità con il solo inserimento sociale, si ritrova la problematicità tipica del regista. Takahata esprime i moti contrapposti con tecniche lontane dalle morbide consuetudini della tradizione Ghibli: lo stile generale anela sempre a una materialità gentile, ma grezza, che evoca la semplicità del disegno con carboncino e acquerello, dove irrompono a tratti inserti onirici più nervosi, in cui ogni figura si fa puro tratto istintivo su carta, tracciato con una furia degna di un Bill Plympton. Sono sogni, appunto, momenti effimeri e per questo destinati a lacerare la narrazione in un andirivieni di speranze deluse e possibilità pure splendide.

 

Il che ci porta al secondo tassello, quello della fugace felicità di Seita e Setsuko in Una tomba per le lucciole, destinata a durare una sola notte perché schiacciata dal cerimoniale di guerra imposto dagli adulti: e non a caso qui Takahata non si tira indietro nemmeno quando c'è da irridere gli alti esponenti del governo fino all'Imperatore. Proprio l'incontro con il Mikado sarà anzi quello della definitiva rottura, che spalancherà le porte del dramma per la principessa, le farà acquisire La storia della Principessa Splendenteconsapevolezza di ciò che è, della sua provenienza e della sua sorte. In effetti, La storia della Principessa Splendente è proprio questo: un racconto fluviale che però vive di singoli momenti in cui far brillare le percezioni dei sentimenti in ballo. Il che lascia emergere la forza della contraddizione umana: che cerca la felicità, ma la raggiunge in pochi e isolati momenti, a volte solo nei sogni, per poi essere schiacciata dal peso della realtà.

 

Eppure questa dicotomia tra felicità perduta e formalismi sociali disumanizzanti non basta più, Takahata lo sa e si prende il suo tempo, aprendo infine un fronte ulteriore, dove emerge, fra le pieghe della nostalgia, un afflato anche di speranza: perché, proprio per quei pochi momenti felici, il cammino risulta non essere stato vano, né cancellabile. Come questo film, dolente eppure gioioso, come il bizzarro e festante corteo che accompagna la Principessa Splendente nel viaggio finale: un momento doloroso, ma allo stesso tempo lieto, magico, che diventa il paradigma dei sentimenti contrapposti evocati dalla narrazione.

 

Nel mettere mano a un testo (il "Taketori Monogatari") che risale all'anno 1000 ed è considerato il primo esempio di narrativa in Giappone, Takahata cerca quindi una sintesi fra un'unica storia di felicità e infausti destini, e una sorta di racconto assoluto che abbisogna del mito per raccontare una condizione umana assoluta. Quasi una dichiarazione testamentaria (sebbene nulla sia stato dichiarato in proposito), che perciò ci rinnova il legame con l'opera ultima di Miyazaki. Una storia che per questo è semplice eppure molto complessa, immediata nei segni che deposita e nei disegni che traccia, eppure tumultuosa nella gamma di emozioni che evoca.

 

Titolo originale: Kaguya-hime no Monogatari

Regia: Isao Takahata

Origine: Giappone, 2013

Distribuzione: Lucky Red

Durata: 137'

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