Viviane, di Ronit e Shlomi Elkabetz

Viviane
Un luogo unico, una stanza di tribunale, ed un tempo inafferrabile, scandito dall'incessante alternarsi di inesorabili didascalie che non concedono alla vicenda un momento di tregua, ma si accatastano l'una sull'altra, rafforzando il concetto di ripetizione: la moglie Viviane vuole il divorzio, il marito Elisha non vuole concederglielo, i rabbini continuano a rimandare il giudizio finale 

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VivianeL'individuo al centro di una stanza che ripiega su se stessa, sempre uguale, quattro solide irremovibili pareti in cui viene dato il giudizio. Viviane è schiacciata dal pesante fardello di uno spazio chiuso in cui la parola assume nuova forma, non più indagatrice razionale, ma mezzo tragicomico per esprimere una cruda realtà. Il destino di una donna dipende dalla decisione di un tribunale terreno, che pretende di essere voce divina, ma in realtà è frutto dei difetti umani: ecco Gett – The trial of Viviane Amsalem, la pellicola che rappresenterà Israele per la statuetta al Miglior Film Straniero ai prossimi Oscar, dopo il passaggio quest'anno alla Quinzaine des Realisateurs di Cannes e poi a Toronto.

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La protagonista assoluta, una donna comune che chiede il divorzio, non mostra il suo volto: Viviane Amsalem, interpretata dall'intensa Ronit Elkabetz, anche regista e sceneggiatrice dell'opera insieme al fratello Shlomi, inizialmente viene presentata attraverso le parole del suo avvocato prima e di suo marito poi, per poi comparire, senza proferire verbo. Viviane decide in un primo momento di non avvalersi dell'utilizzo della parola in quanto non risulta il mezzo opportuno per comprendere e farsi comprendere. La comunicazione non può avvenire, l'ascolto risulta impossibile: i rabbini, giudici supremi la cui volontà risulta insindacabile, non prestano attenzione alle affermazioni e alle testimonianze che di volta in volta si accumulano in aula, così come il marito non riesce a stabilire un rapporto empatico con la moglie.
Ironia della sorte, sono proprio quegli stessi giudici incapaci di comunicare a dover decidere riguardo il rapporto comunicativo tra i due sposi.
L'affastellamento di amici e parenti che tentano di prestare soccorso alle rispettive parti in causa risulta inutile, finendo con l'acuire una situazione di sostanziale ripetizione senza alcun senso logico: la moglie Viviane vuole il divorzio, il marito Elisha non vuole concederglielo, i rabbini continuano a rimandare il giudizio finale mentre gli avvocati o chi ne fa le veci difendono i propri clienti, in un ritorno senza sosta al medesimo punto di partenza.

L'assenza di colore e di luci tese a definire il quadro ci ricorda la singola e materiale assenza in aula del marito e insieme la plurale e morale assenza di giustizia. Il colore che detta legge negli abiti indossati quanto nell'atmosfera regnante è il nero, l'assenza cromatica per definizione, seguito in modo quasi paradossale dal suo opposto, il bianco, la totalità in campo cromatico, che viene distribuito abilmente intorno al nero, formando un campo in cui assenza e totalità coesistono seppur generando contrasto. Il ribaltamento dei ruoli è tanto ideale quanto attuabile: nonostante nella realtà lo sfondo rappresentato dalle pareti sia bianco, quando i due coniugi sono chiamati a rivelare se stessi essendo interrogati, lo sfondo magicamente si tramuta in nero.

L'eterna lotta cromatica è sostenuta anche da un ulteriore contrasto, quello esistente tra staticità e dialogo: ancora una voltaViviane la parola, che cerca di chiarire se stessa fornendo testimonianze a sostegno dell'una come dell'altra tesi, dinamica e ammaliatrice si incontra scontra con la sostanziale immobilità dei corpi, che si alzano in piedi per poi tornare inevitabilmente a sedersi, consci della loro impossibilità al dinamismo.

Sebbene la parola assuma un significato diverso da quello ordinario,
non essendo più mezzo razionale di espressione, ma chiave interpretabile dell'animo umano, essa viene ampiamente utilizzata per raccontare, descrivere e permettere allo spettatore di vivere il rapporto di coppia. La relazione tra Viviane ed Elisha non viene mai “mostrata” usufruendo di immagini, ma viene semplicemente “raccontata”, in uno scontro verbale tra le due parti che non sembra poter approdare ad una rielaborazione oggettiva delle testimonianze fornite, decretando la sostanziale impossibilità di giudizio.

Titolo originale: Gett – The trial of Viviane Amsalem 

Regia: Ronit Elkabetz, Shlomi Elkabetz
Interpreti: Simon Abkarian, Menashe Noy, Sasson Gabai
Origine: Francia, Israele, 2014
Distribuzione: Parthenos Srl
Durata: 115' 

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