Ho ucciso Napoleone, di Giorgia Farina


Un balletto in maschera “ben-fatto-ben-scritto-ben-fotografato” a cui manca tragicamente un'esigenza o uno sfondo. E davvero, non è questione di criticare un film in particolare o di segnalare fantomatiche “malattie” del cinema italiano, niente di tutto questo, è solo che ci si trova di fronte ad una siderale lontananza filosofica ed estetica

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Donna in carriera spietata e fredda “come un sofficino surgelato” gestisce le risorse umane di un’azienda farmaceutica con fare dittatoriale, sino a quando non si ritrova incinta. Di chi? Del capufficio ovviamente (Adriano Giannini), che vigliacco si spenderà per il suo licenziamento, facendo partire il dispositivo di vendetta della nostra protagonista Anita (una Micaela Ramazzotti in versione Crudelia Demon). Intanto un timido avvocato (Libero De Rienzo) entra nel meccanismo perfetto e riserverà molte sorprese…

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E allora, partito il treno. Il film viaggia sulle rotaie di una collaudata commedia nera che propone allo spettatore un menù politically (un)correct sempre in punta di fioretto, strizzando l’occhio a più riprese alla stretta attualità: i licenziamenti facili in era di Jobs Act, gli imprenditori corrotti/corruttori, la povertà di chi ha perso il lavoro per la crisi, i mezzucci per sopravvivere, lo sfacelo della famiglia tradizionale, eccetera, eccetera. Tutto pre-visto, tutto ben oliato, cinema tonnato diceva Sergio Sozzo qualche tempo fa. Ebbene: se l’intento di Giorgia Farina era quello di cambiare di segno la commedia italiana per sdoganare un “nuovo” personaggio femminile a tutto tondo – perfida e fragile, moglie e madre, allergica alla famiglia e ai rapporti di coppia, furba e fieramente indipendente – si può ammirare lo sforzo, ma questo è veramente solo l’effetto collaterale del film. Perché la giovanissima regista confonde costantemente la costruzione con l’emozione, l’intenzione con l’azione, la struttura con il cinema. Il colto balletto in maschera di riferimenti miscelati sempre nelle giuste dosi – la sposa tarantiniana di Kill Bill (e le sue X), i costumi à la Almodovar, i detour di sceneggiatura à la fratelli Coen di Intolerable Cruelty, per finire con l’irruenza monicelliana della Monica Vitti con la pistola – ci riconsegna un cinema imbalsamato e dal fiato cortissimo. Confinato nel piccolo acquario del pesce Napoleone da cui prende il titolo. Un concetto museale del filmare che fa una tremenda fatica ad aprirsi alla vita (a differenza dell’hotel di Wes Anderson per dirne una) e ai nuovi modi di guardare il nostro mondo.

Insomma: un cinema “ben-fatto-ben-scritto-ben-fotografato” a cui forse manca un'esigenza o uno sfondo (per ri-citare Massimo Causo). E davvero, non è questione di criticare un film in particolare o di segnalare fantomatiche “malattie” del cinema italiano, niente di tutto questo, anzi: Giorgia Farina dimostra una notevole maturità nel gestire un set di tali dimensioni produttive. È solo che ci si trova di fronte ad una siderale lontananza filosofica ed estetica in come si concepisce il cinema e in come lo si guarda. Perché a questi personaggi-marionette così ben cesellati e manovrati manca tragicamente un'anima, un contatto, la capacità di chiedersi ancora oggi che cosa sono le nuvole?


Regia: Giorgia Farina

Interpreti: Micaela Ramazzotti, Adriano Giannini, Libero De Rienzo, Thony, Elena Sofia Ricci, Iaia Forte

Origine: Italia, 2015

Distribuzione: 01 Distribution

Durata: 90'

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