TORINO 30 – "Terrados", di Demian Sabini (Concorso)

La "crisi" vista dai tetti. Isolarsi, guardare le difficoltà dall'alto, ignorare la sofferenza e la perdita di identità. Terrados è un film intimamente figlio della tematica che sceglie di raccontare, dove la disillusione perenne dei suoi giovani protagonisti invade anche la configurazione filmica che diventa uno stanco ripetersi di rituali. Il film stesso è una stasi, un momento di ripiegamento declinato in vari registri (dal comico, al grottesco, al tragico) che possa presupporre un futuro "altro"…

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La "crisi" vista dai tetti. Isolarsi, guardare le difficoltà dall'alto, ignorare la sofferenza e la perdita di identità. Per ricominciare? Questa è la premessa e la domanda che il giovane regista/protagonista del film si pone. Sì perchè la crisi economica in Spagna picchia duro come in Italia, una generazione ha perso i suoi punti di riferimento (lo Stato, il lavoro, la famiglia) e allora scegliere ogni giorno un tetto e "perdere il proprio tempo" dominando tutto dall'alto sembra l'unica soluzione per un gruppo di amici "disoccupati".

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La perdita di un lavoro (in questo caso la chiusura d un piccolo studio legale) azzera le coordinate di un mondo: "caput" ripete costantemente Mario. Una crisi, quindi, che invade l'intero microcomo relazionele: percezione di se stessi, rapporti di coppia, di amicia, ecc. E allora reagire significa venire a patti con la riacquisizione di una dignità personale che passa attraverso una forte riflessione su stessi. Non mancano le barbe lunghe, le ubriacature, le feste tristi e le liti furibonde.
 
Terrados è un film intimamente figlio della tematica che sceglie di raccontare, dove la disillusione perenne dei suoi giovani testimoni invade anche la configurazione filmica che diventa uno stanco ripetersi di rituali. Il film stesso diventa una stasi, un momento di ripiegamento declinato in vari registri (dal comico, al grottesco, al tragico) che possa presupporre un futuro "altro". Ecco che l'esordio alla regia del giovane regista spagnolo diventa quasi ingiudicabile, proprio perchè chiuso in un nobile intento declamatorio che però ne castra costantemente (volutamente?) ogni slancio puramente cinematografico. Forse è giunto il momento di chiedersi se esiste il cinema della crisi, se sta assumendo i crismi di un vero "sottogenere", domadarsi come "immaginare" un fenomeno che sta di fatto modificando ogni nostra prospettiva presente e futura. E allora, da questo punto di vista, quello di Demian Sabini è un film che pone quesiti al di là della sua effettiva riuscita…
 

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