TORINO 30 – "Shopping Tour", di Mikhail Brashinsky (Rapporto Confidenziale)

 TORINO 30 - Shopping Tour, di Mikhail Brashinsky (Rapporto Confidenziale)

Girato con 55.000 euro in 12 giorni, da un regista/critico cinematografico russo che è stato anche conducente di treni sulla Transiberiana, cameriere in un ristorante turco e DJ a New Orleans, questo cannibal dramedy regala momenti esilaranti e dialoghi spassosi, giocando consapevolmente e apertamente con i canoni del genere, con la dimensione orrorifica dei viaggi organizzati e degli acquisti compulsivi, e con gli stereotipi dell'immaginario di un popolo verso lo straniero

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TORINO 30 - Shopping Tour, di Mikhail Brashinsky (Rapporto Confidenziale)Una giovane mamma russa, con un passato non tutto rose e fiori che si indovina dal viso bello e stanco, si regala un weekend in Finlandia con il figlio teenager, inseparabile dal suo nuovo smartphone, con il quale riprende tutto ciò che accade. La frontiera va raggiunta in pullman, e la guida, come se si andasse in guerra, indica tutta una serie di regole indispensabili e a superarla con successo per giungere alla meta bramata dai turisti: una bulimica maratona di acquisti tax free. La prima tappa, spettrale come le soste notturne in autogrill nei tragitti a poco prezzo, è in un grande centro commerciale, aperto appositamente solo per voi! dove la grottesca compulsione al consumo rivelerà quella natura orrorifica che avete sempre sospettato trovandovi in un megastore, soprattutto di domenica.
 

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Già i due protagonisti, Mamma (Tatyana Kolganova) e Figlio (Timofey Yeletsky) che si vogliono un gran bene ma soffrono della morte del papà e sono in piena fase di conflitto generazionale, rappresentano una divertita variazione dei classici giovani spensierati il cui road trip viene interrotto dall'incontro con l'orrore che li decima uno ad uno. Mentre il personale divora i clienti – idea di per sè geniale se inquadrata nel sistema economico contemporaneo – i nostri eroi dovranno lottare per la sopravvivenza, utilizzando goffamente armi improprie e proletarie (una padella, un trapano spento, una bomboletta spray) senza mai riuscire a fare a meno di fare a meno di discutere il proprio rapporto conflittuale nei momenti meno opportuni, con conseguenze esilaranti (la mamma che grida al ragazzo di non dire le parolacce anche mentre stanno fuggendo da un'orda di creature affamate).

Mikhail BrasShopping Tour, di Mikhail Brashinsky - foto dal sethinsky, già autore di Black Ice (2003) presentato a Rotterdam e Berlino, e di una quantità impressionante di testi di critica, gioca con la struttura dei film horror o catastrofici che fingono il punto di vista di chi vive l'azione e la riprende con videocamere amatoriali o telefonini, con la consapevolezza di chi adora il cinema e le sue macchinazioni. Per tutto il tempo tremiamo all'idea che il telefono si scarichi impedendoci di assistere in diretta alla fine della storia, ma qui il punto di vista di chi lo tiene in mano è solo un pretesto per raccontare tra farsa e survival movie lo stupore di fronte ai comportamenti dello straniero, commentato con dialoghi da manuale: come è possibile che i Finlandesi siano cannibali, quando abitano nel paese migliore del mondo secondo l'UNESCO?

Tutto il film si regge su un'analisi (del tutto comica, niente sociologia da due soldi) delle storiche tensioni tra russi e finlandesi, e più in generale, degli stereotipi cullati dall'immaginario di un popolo nei confronti di un altro. Una diatriba che sostiene tutto il film, regalandoci momenti di genuina ilarità. In questa visione paradossale e esasperata, da un lato della frontiera vivono i russi (bifolchi pronti a morire per fare tutto lo shopping che si sono negati in passato) dall'altro i finlandesi (popolo civile, attento ai diritti umani, vegetariano, alcolizzato e mortalmente infelice). A spiegare la situazione ai nostri eroi, in una buffissima resa dei conti (svelarla sarebbe un delitto) interverrà un pakistano chiuso nella cella attigua a quella dei nostri eroi, prigionieri della Polizia, fino alla satira conclusiva. Non che Shopping Tour sia dichiaratamente una satira sociale: eppure nel suo prendersi gioco di certe dinamiche dello spettacolo, e in parallelo, di bisogni costruiti da culture impoverite di senso, si sente affiorare una irresistibile voglia di scompaginare il funzionamento della macchina-cinema mainstream.

A dichiararlo senza mezzi termini, è lo stesso Brashinsky nelle note di regia: «Il significato principale di Shopping Tour sta semplicemente nel fatto che esista, contro tutte le previsioni, e che sia stato girato con pochissimi soldi da un gruppo di professionisti autoprodottisi, stanchi di essere intrappolati nei limiti finanziari e ideologici delle major dell’industria cinematografica. Come tale, è una delle prime produzioni russe veramente indipendenti, probabilmente un’opera pionieristica per quella che potrebbe diventare una nuova tendenza nel clima politico e culturale del nostro Paese, che va sempre peggiorando. Il resto è puro divertimento, né più né meno».

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