TORINO 30 – "Sun don't shine", di Amy Seimetz (Concorso)

TORINO 30 - Sun don't shine, di Amy Seimetz (Concorso)
Nel suo esordio alla regia, l'attrice texana Amy Seimetz intraprende la missione suicida di riprodurre le atmosfere di film come Badlands, Deliverance,Two Lane Blacktop, Wild at heart, senza riuscire a abbandonarsi a un suo linguaggio, magari immaturo e imperfetto, ma originale. L'esito è deludente: un road movie paradossalmente immobile, asfittico, che gira in tondo senza via d'uscita

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TORINO 30 - Sun don't shine, di Amy Seimetz (Concorso)Sulla carta, l'esordio alla regia della giovane attrice texana Amy Seimetz poneva tutte le premesse per affascinare: una storia d'amore e di morte on the road che si svolge in meno di 24 ore, girata in 16mm in una Florida dai colori malsani, in un'estate di caldo feroce che ha provato attori e crew. Le aspettative erano alte, anche per i riferimenti citati dalla regista (Badlands e Two Lane Blacktop, e se non bastasse, il John Boorman di Deliverance, il Cassavetes di A Woman Under the Influence e il David Lynch di Wild at heart). L'esito è deludente, forse proprio perchè la Seimetz non si abbandona a un linguaggio ben definito, girando un film magari imperfetto, ma personale, e tenta  invece la missione suicida di riprodurre le atmosfere di questi grandi modelli, tutte insieme. Leo (Kentucker Audley) e Crystal (Kate Lyn Sheil) viaggiano in una macchina-fornace sulle strade di un'America inospitale, ed è subito chiaro che qualcosa di terribile è accaduto e che entrambi sono coinvolti fino al collo. Il film ci svela quasi immediatamente il classico triangolo fuggiaschi-cadavere nel bagagliaio, che non sarebbe un male, se la violenza restasse sotterranea e più sottile, mentre invece tra i due amanti il senso di colpa e il panico montano troppo prevedibilmente, fino all'inevitabile conclusione drammatica.

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La regista, che ha scritto la sceneggiatura a partire da un incubo privato, e il suo direttore della fotografia Jay Keitel (con il contributo di Audley, a sua volta filmmaker nella vita) abbondano in giochi di luce raffinati e punti di vista astratti, accarezzando e circondando i due attori, che ce la mettono tutta per essere credibili e aderiscono completamente ai loro personaggi: sfiniti, sudati di un sudore tossico, bruciati dal sole, i nervi a pezzi, prigionieri più di se stessi, delle reciproche diffidenze, che della paura di essere scoperti. Tutto congiura per suggerirci che una volta si amavano, forse erano perfino felici, finchè non si sono sporcati le mani di sangue. Good people can do bad things. Sun don't shine, di Amy Seimetz Eppure lui, che sembra la parte fredda e calcolata della coppia, probabilmente è sempre stato questo ragazzino,  incapace anche di mentire con convinzione; lei, in uno stato di isteria costante, tra ritornelli ossessivi, capricci maligni, pianti improvvisi e slanci infantili, finisce per rivelare una stolidità, un'assenza di morale, che forse non ha a che fare solo con il delitto. Il suo senso di inadeguatezza come madre vorrebbe suggerire un istante poetico nell'immagine dello spettacolo acquatico, Florida Trash, con le sirenette che raccontano la fiaba di Andersen. Ma mette più che altro alla prova la pazienza di lui, che inizia a chiedersi se sia valsa la pena di imbarcarsi in questa avventura (e noi pure). Anche l'unico momento di sesso tra loro è rapido, provvisorio e imbarazzato. Se l'intento era rappresentare il disturbo che l'atto dell'uccidere scatena nell'intimo di due persone comuni, come un pulviscolo di televisione che interrompe la comunicazione (le voci dei due che si sovrappongono, in due monologhi che non si incontrano mai) bisogna ammettere che nel ritratto psicologico la Seimetz non ha fallito. Così come nel modellare i suoni, per ottenere un tessuto sonoro inquietante e angoscioso, un rombo continuo spezzato da carillon e campionamenti dai suoni della natura, forse l' unico aspetto convincente del film. Ma è troppo poco per questo road movie curiosamente immobile, asfittico, che gira in tondo senza via d'uscita.

 

 

 

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