TORINO 30 – "The Sessions", di Ben Lewin (Festa Mobile)

Singolare progetto questo The Sessions. Nato dall’articolo On Seeing a Sex Surrogate del poeta e giornalista Mark O’Brien, immobilizzato dall’età di quattro anni per una poliomelite e qui interpretato da un grande John Hawkes. Il film affronta nei toni leggeri della commedia il dramma di un trentottenne disabile e vergine che decide di avere un rapporto completo con una donna. Una materia delicata, affrontata con rispetto e ironia, in un film che nonostante diverse ingenuità registiche colpisce per la sua sincerità

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Singolare progetto questo The Sessions. Nato dall’articolo On Seeing a Sex Surrogate del poeta e giornalista Mark O’Brien, immobilizzato dall’età di quattro anni per una poliomelite che lo ha costretto a vivere solo nei brevi intervalli di tempo lontano dal suo polmone d’acciaio. I muscoli non rispondono più, la mobilità completa è limitata al volto, ma la sensibilità del suo corpo è più che normale: gli stimoli sessuali, pertanto, impongono una risposta.

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Questo biopic (liberamente ispirato a un breve periodo della vita di O’Brian e interpretato da un grande John Hawkes, ormai uno degli attori più importanti di quest’epoca) affronta nei toni leggeri della commedia il dramma di un trentottenne disabile e vergine che decide di avere un rapporto completo con una donna. “Perché il mio tempo sta per scadere”. Vuole insomma disperatamente diventare adulto, in tutti i sensi, ma a ostacolarlo non c’è solo la malattia: i fantasmi dell’infanzia e la rigida osservazione della religione cattolica sono freni non indifferenti nella ricerca di un semplice rapporto sessuale. Che fare? Ci si rivolge alle persone, per chiedere aiuto: un prete aperto al dialogo interpretato da un inedito capellone William H. Macy (molto divertenti le confessioni a cui sottopone Mark) e alla terapista sessuale Cheryl (interpretata magnificamente dalla coraggiosa Helen Hunt), che in sole sei “sessioni” garantisce al disabile un’iniziazione completa alla sfera della sessualità.

Il film procede per singole session/stripes in cui i vari personaggi ci vengono presentati e introdotti nella loro problematica quotidianità, con Mark a fare da cuore pulsante della narrazione. Un uomo la cui maturità sentimentale è fatalmente ancorata all’infanzia, persa nel continuo fragore totalizzante di un platonico sentimento amoroso. La scoperta del sesso è in fondo la ricerca di una socialità vera e vissuta, il superamento di quel tabu (anche di natura religiosa) è un allegorico andare oltre l’immobilità per condividere finalmente ogni esperienza. E il film dà il meglio di sé proprio negli appuntamenti tra Mark e Cheryl, dove il tentativo della “meccanica” sessuale viene prima freddamente sperimentato e poi dolcemente raggiunto. Un coraggio non da poco data la delicatezza del tema trattato.

Il regista polacco/australiano Ben Lewin ha una solida formazione televisiva alle spalle (intuibile anche in questo caso), il suo è un approccio alla materia schietto e partecipe, persino naif nella scolastica messa in scena che riecheggia una certa commedia americana anni ’80. Certo, The Sessions è anche un film che castra un po’ troppo il potenziale delle innumerevoli sfaccettature sentimentali, religiose e sociologiche tirate in ballo, infarcito per giunta da qualche ingenuità registica evidente (l’orgasmo raggiunto a suon di flashback improvvisi…). Diversi limiti, è vero, ma bisogna andare oltre. Perché in fondo ciò che più colpisce lo spettatore è la sincerità di un film che sa raccontare la malattia e il sesso senza inutili filtri compassionevoli o ricattatori. Semplicemente.

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