BERLINALE 63 – "Don Jon's Addiction", di Joseph Gordon-Levitt (Panorama)

scarlett johansson e joseph gordon-levitt in Don Jon's Addiction

Gioca sulla ripetizione come se il protagonista fosse chiuso in un labirinto esistenziale da cui non riesce mai ad uscire, con inquadrature ripetute e riciclate. C'è un riuscito meccanismo nel costruire l'oppressione nell'esordio nel lungometraggio dell'attore statunitense, poi a tratti il film sembra incartarsi con le sue mani. Se questo però è il primo passo come regista di un percorso che porta anche ad altre soluzioni, può bastare benissimo così.

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scarlett johansson e joseph gordon-levitt in Don Jon's AddictionHa già lavorato con Christopher Nolan (Inception, Il cavaliere oscuro. Il ritorno) e Steven Spielberg e in progetti a piccolo budget che poi si sono rivelate delle sorprese come (500) giorni insieme e 50 e 50. E ora Joseph Gordon-Levitt, classe 1981, esordisce nel cortometraggio dopo 4 corti di cui tre d'animazione e Sparks (2009), quasi con lo spirito da indipendente nel modo di mostrar(si) con il suo personaggio schiavo delle proprie abitudini e ossessioni.

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Joe Martello (interpretato dallo stesso attore) è chiuso nel suo mondo. Tra la discoteca, le donne conquistate, gli amici, la famiglia, la palestra, la chiesa e soprattutto la sua dipendenza dal porno. Joseph Gordon-Levitt in Don Jon's Addiction gioca sulla ripetizione come se il protagonista fosse chiuso in un labirinto esistenziale da cui non riesce mai ad uscire. L'arrivo in chiesa, il modo in cui accende il Pc per vedere le sue immagini del desiderio o come è seduto a tavola con padre, madre e sorella, i suoi sguardi in discoteca appaiono come ripetuti, quasi riciclati, quasi le stesse inquadrature utilizzate più volte. Se Phil/Bill Murray in Ricomincio da capo era imprigionato nel tempo, Joe Martello lo è nello spazio. E neanche due donne diverse, da Scarlett Johansson a Julianne Moore, sembrano riuscire a infrangere quella barriera che non riesce mai a superare.

C'è un riuscito meccanismo nel costruire l'oppressione, ma poi le soluzioni adottate danno l'idea di un cineasta che sta cercando di confrontarsi con una scrittura (la propria) dove l'elaborazione non è sempre sinonimo di complessità. Don Jon's Addiction ha una bella partenza, una tensione che si carica anche dallo scontro dei dialoghi, poi a tratti il film sembra incartarsi con le proprie mani. Il percorso a tappe continuamente ripetuto appare come una strada stilisticamente più sicura rispetto il tentativo di mostrare lo smarrimento del protagonista proprio quando è costretto a uscire fuori dal proprio universo e ciò è evidente soprattutto con il suo incontro con la donna matura.

Joseph Gordon-Levitt ha tante buone idee e qualcuna di queste va a segno, sa dirigere gli attori e nelle scene in discoteca o davanti il computer sa mostrare l'erotismo sospeso tra il corpo e la mente. Se questo è il primo passo come regista di un percorso che porta anche ad altre soluzioni, può bastare benissimo così.

 

 

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