BERLINALE 63 – "A Long and Happy Life", di Boris Khlebnikov (Concorso)

a long and happy life

Khlebnikov racconta in un colpo solo la crisi morale di un mondo fondato sull'economia e l'impossibilità di una prospettiva utopica. Né col capitalismo né con il comunismo. Né con te né senza di te. Siamo al centro stesso della questione fondamentale di questo tempo maledetto

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a long and happy lifeOccorrerebbe magari una premessa economico politica. Ma se immaginassimo un sistema economico di cooperative autogestite? La fine dello sfruttamento del lavoro da parte del capitale, in fondo non richiede invenzioni astruse. Basterebbe, magari, una norma che impedisse il lavoro salariato, e d'un colpo il tanto vituperato socialismo di mercato diverrebbe una soluzione possibile. E non saremmo molto lontano da una prospettiva di marxismo possibile, visto che il problema non è mai stato il mercato, ma lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Ma ovviamente parliamo di un altro mondo. Le dannazioni di oggi condizionano le ipotesi di domani.

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Sascha gestisce una fattoria collettiva nella penisola di Kola. Gode della fiducia incondizionata dei "fattori", ma deve affrontare le difficoltà economiche dell'impresa. E soprattutto le mire del governo locale, che ha altri progetti per quelle terre. Spinto dai vicini, Sascha rinuncia al compenso forfettario che gli era stato offerto. Ma questa scelta ha delle conseguenze dolorose. Innanzitutto nel rapporto con la sua donna, la bellissima Anya, che sogna un'altra casa e un'altra vita.

Khlebnikov racconta in un colpo solo la crisi morale di un mondo fondato sull'economia e l'impossibilità di una prospettiva utopica. Né col capitalismo né con il comunismo. Né con te né senza di te. Nel momento in cui Sascha fa "la cosa giusta", viene abbandonato da tutti. È costretto a fare un appello al contrario, a misurare la distanza tra la legge morale e le regole dell'economia, tra una sovversiva idea egualitaria e la sofferenza dei bisogni, tra la necessità di un'identità e di un "posto sicuro" e dello sradicamento profondo di un sistema impersonale. Al punto estremo della solitudine, non resta che la rivolta definitva. Siamo al centro stesso della questione fondamentale di questo tempo maledetto che sconta il vuoto delle parole, eppure conserva un'eco dell'utopia. Il cinema entra in politica, sebbene lo sguardo di Khlebnikov non abbia da aggiungere molto alla compiutezza del racconto. Si muove piuttosto in un terreno mobile, che parte da Loach, tocca i Dardenne e arriva a un "miracoloso" finale noir e sentimentale, sospeso eppur profondo alla James Gray. Compiuto il gesto estremo, Sascha trova ancora un corpo e un cuore da amare. Nel silenzio della disperazione.

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