Galline in fuga
Non si capisce perché l'abbiano chiamato Galline in fuga. Avrebbero potuto chiamarlo Gaya gallina coraggiosa (nell'originale Ginger) per un lungometraggio che è la tanto vagheggiata quintessenza della paura inerente gli alimenti prodotti dalla civiltà industrializzata. O meglio la creazione di una nuova paura. Superando quelle ancestrali, non basta terrorizzare ed essere terrorizzati. L'impressione di aver sostituito le vecchie angosce con quella dei cibi transgenici, dopo la visione di questo piccolo capolavoro, si rafforza ancora di più. Ci siamo affrancati dalla guerra fredda e dalle pesti del secolo (AIDS), ma ci muoviamo con una leggerezza incosciente nei labirinti dell'alimentazione. Solo gli allevatori come i carcerieri Tweedy capiscono la portata dei loro trattamenti. Noi non li capiamo. Eppure più della biotecnologia, i cibi alterati (nel film l'azione è compiuta da un macchinario che pare il compressore di Stephen King) ci toccano ancora più direttamente. Lord e Park distillano ciò che non è riuscito a George Miller nel dittico di Babe, ovvero l'anti-misoneismo verso gli allevamenti tecnologicizzati. Quindi più che il prodotto d'animazione più intelligente del Natale 2000, Chicken Run è un miracolo dell'impegno civile. Prima degli stucchevoli paragoni con George Orwell, e John Sturges (La grande fuga viene mutuata perfino nei piani medi che inframmezzano l'incipit) Chicken Run (un signor titolo!) si rivela sotto forma di filtro, dove la cinecamera tenta di dissimulare il portato ideologico del film. Chicken Run però è inspiegabilmente perso nei meandri della gerarchizzazione animale. I topi ad esempio sono solo individui sordidi che fanno i loro interessi anche nei confronti del nomade Rocky. Ciò che vogliono inquadrare è il capitale. Un'altra difficoltà per un pollame che deve già conservarsi duro e puro con il tarlo della mucca pazza e delle crociate anti- Mc Donald. Come gli Aardaman Studios che veleggiano verso la major Dreamworks spielberghiana in un moralismo che non ne fiacca assolutamente le intenzioni.
Fabio Zanello