Affliction, di Paul Schrader

Regia: Paul Schrader
Sceneggiatura: Paul Schrader
Fotografia: Paul Sarossy
Montaggio: Jay Rabinowitz
Musica: Michael Brook
Scenografia: Anne Pritchard
Costumi: François Laplante
Interpreti: Nick Nolte (Wade Whitehouse), James Coburn (Glen Whitehouse), Sissy Spacek (Margie Fogg), Willem Dafoe (Rolfe Withehouse), Mary Beth Hurt (Lillian), Jim True (Jack Hewitt)
Produzione: Reisman/Kingsgate Production
Produttori esecutivi: Nick Nolte, Barr Potter
Distribuzione: Cecchi Gori
Durata: 114′
Origine: Stati Uniti, 1997
Affliction o della paternità
Tutti i film di Schrader rievocano e rimettono in gioco il sacrificio del figlio compiuto, voluto, orchestrato dal padre. Lo snodo problematico intorno al quale si articola questa dramma della volontà del padre (o meglio: del morire per il padre) è il tradimento.

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Nel cinema di Paul Schrader i padri tradiscono. Tradiscono i figli che crescono soli e diventano adulti menomati da troppo poco amore o muoiono perchÈ mancanti a se stessi (e sovente sono ipnotizzati da un istinto di autodistruzione che li divora instancabilmente). Tutto il cinema di Paul Schrader ruota intorno alla questione del Padre che, a differenza di quanto accadeva nel cinema coevo agli esordi dello sceneggiatore di Taxi Driver, non è mai assente, semmai troppo presente. Quelli schraderiani infatti sono dei superpadri: genitori che si strappano dalla loro carne afflitta i figli e li gettano nel mondo. Padri talmente forti che finiscono per coincidere con IL padre. Il fascino premoderno del cinema di Schrader, nonostante sia filtrato da uno sguardo moderno e critico di rigore unico, nasce proprio da questa sovraesposizione della figura paterna. Le madri scompaiono dall’orizzonte familiare (Lauren Hutton in American Gigolo, Susan Sarandon ne Lo spacciatore) o quando ci sono confermano, dolorosamente, che il mondo di Schrader è patriarcale (la Gena Rowlands di La luce del giorno). Tutti i film di Schrader rievocano e rimettono in gioco il sacrificio del figlio compiuto, voluto, orchestrato dal padre. Lo snodo problematico intorno al quale si articola questa dramma della volontà del padre (o meglio: del morire per il padre) è il tradimento. I figli di Schrader infatti potrebbero affermare, in linea con la massima di Ernst Weiss, “prima che mio padre morisse, io ero già orfano. Gettati nel mondo, i figli vivono soli: un uomo e il suo tassì (Taxi Driver), un uomo e la sua stanza (American Gigolò, Lo spacciatore), un uomo e la bellezza (Mishima). Nel cuore nutrono un risentimento sordo e impotente. Però vivono sempre nel cono d’ombra del padre nonostante covino nel cuore l’utopia dell’apostasia. Infatti pur avendolo abbandonato non l’hanno dimenticato (Willem Dafoe in Affliction). Continuano a sognare di uccidere il padre i figli di Schrader, ma per loro equivale a suicidarsi lentamente (e lo sanno bene) perchè è solo questa inesorabile consunzione nell’odio che li tiene in vita. Afflitti da troppo amore, vivendo per una voce che non è la loro, muoiono per se stessi. Ma quando giunge di nuovo imperiosa la voce del padre a imporre la loro morte a sua maggior gloria (L’ultima tentazione di Cristo) scatta l’eros della disubbidienza. L’eros, alienato nella virilità del genitore (colui che mette al mondo, che dona la vita), riscatta il figlio e gli permette di esistere come negazione del padre. Come tradimento necessario. Ma questo spetta di diritto al padre, che lo consuma e ratifica nel momento stesso in cui getta nel mondo il figlio: moltiplicazione lacerante e beffarda del principio monoteista che ride dell’alterità del figlio infliggendogli l’esilio dalla sua vita e lo costringe ad assumersi l’onere del libero arbitrio. Il figlio non è mai se stesso: è solo un non padre. Proprio come Wade in Affliction che non riesce a comunicare con nessun altro se non con suo padre. Un figlio mancante che non riesce a essere genitore (il rapporto impossibile con la figlia). Wade sa che il padre vuole che lui muoia per lui. E Wade tenta di resistere, di disubbidire. Ma sa bene che è solo nel compiere la volontà del genitore che la sua vita avrà un senso. Ma perversamente per compiere questo progetto interviene un terzo elemento, Rolf (Willem Dafoe, il Cristo scorsesiano e non si tratta di una coincidenza!), il quale, confidente del fratello, lo tradisce insinuandogli nel cuore il sospetto che il mondo possa anche prendere un corso diverso. Che la verità possa essere estirpata ai padri. Rolf sa bene che non è vero. Infatti, precisandolo con orgoglio, lui ha “letto molti libri di storiaÈ. Ma Wade non ha letto (e non è un caso: nelle società rette da caste sacerdotali, quelle dove il potere del padre è incontrastato, la scrittura appartiene a coloro che scrivono il mondo e non a quelli che in esso sono gettati). Il mondo di Schrader, monoteistico, possiede un centro. Tentando di incrinarne gli equilibri, come progetta Wade, si scatena la tragedia. Ma Rolf, anche se non ha figli, esercitando la sua paternità sterile (attraverso la cultura) su Wade tenta di parodiare una sostituzione del padre. Di diventare padre egli stesso (“quell’uomo non ha mai potuto esercitare la sua violenza su di me”). Wade diventa così il figlio di Rolf e Rolf lo uccide per sostituirsi al padre. Ma non si tratta di freudismo d’accatto. In Affliction è in discussione il sacramento stesso della trinità (“per volontà dello spirito santo”). Wade uccide il padre ma è solo l’esecutore di una volontà estranea al suo atto. Annunciato dallo stato di ipnosi nel quale tende le braccia in mezzo al traffico come se fosse crocifisso, Wade si sacrifica per il fratello che sogna di diventare padre (unto dal sangue del fratello) laddove lui non ha mai nemmeno sperato di poter sfuggire al suo ruolo di figlio orfano. Infatti i flashback che torturano il corpo del film non sono di Wade, che non ha bisogno di ricordare ciò che è (lui avverte nelle sue viscere di non poter sfuggire all’autorità del padre), ma di Rolf il quale, attraverso la memoria, ossia un racconto del mondo che contribuisce a fondare la specificità del ricordante, riesce a separarsi dal padre e a progettarne l’uccisione (le madri invece se ne vanno nel sonno, uccise dal freddo, in silenzio, nell’indifferenza dei maschi che non sanno piangere). E chi conosce un po’ la storia di Schrader sa bene che La luce del giorno è una menzogna disperata di un uomo che non ha rinunciato a ingannarsi. è Affliction il vero addio al mondo di suo padre: un addio destinato a ripetersi in eterno. D’altronde Rolf, dopo la morte di Wade, non vende la casa paterna e come in un cinema della memoria, dove si proietta sempre lo stesso home movie, Rolf continua, autisticamente quasi, a vedere le stesse immagini (proprio come il Sonny di Texasville). Immagini che ormai non sappiamo nemmeno se sono le sue o se sono ormai solo un delirio di chi non riesce più – finalmente! – a ricordare. Rolf è il figlio che rifiuta di morire per il padre: che giunge al punto di ucciderlo, per scoprire che questi, il padre, è ridiventato figlio solo per riaffermare la propria supremazia. Morendo per mano di Wade e accettando di soccombere al piano di Rolf, il padre prende definitivamente possesso, attraverso il parricidio, attraverso la sua negazione, della vita dei figli cui nega così per sempre la vita.
Tradire i padri significa impedire loro di vivere per sempre. Vivere con i padri, per i padri significa morire e rinunciare al proprio eros. Alla propria vita.
Nel mondo di Paul Schrader il padre è lo scandalo primario ineludibile. E non c’è scampo.
Per questo motivo il tradimento resta l’unica speranza di vita. E quale tradimento maggiore del suicidio? Già, perché il cinema di Schrader corteggia sempre l’idea di suicidio, il rifiuta della Grazia, della Vita, del gesto procreatore del padre. Negazione del progetto trinitario.

 

Giona A. Nazzaro

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