Ghost Dog – Il codice del samurai, di Jim Jarmusch

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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Regia: Jim Jarmusch
Sceneggiatura: Jim Jarmusch
Fotografia: Robby Muller
Montaggio: Jay RabinowitzJay Rabinowitz
Musica: RZA
Scenografia: Ted Berner
Costumi: John A. Dunn
Interpreti: Forest Whitaker (Ghost Dog), John Tormey (Louie), Cliff Gorman (Sonny Valerio), Isaach De Bankolè (Raymond), Camille Winbush (Pearline), Henry Silva (Vargo), Tricia Vessey (Louise Vargo)
Produzione: Plywood
Distribuzione: Bim
Durata: 116′
Origine: USA, 1999
 

L’America mosaico e calderone, ostentatamente multipla, trasversale, frammentata.
Un’anonima cittadina del Nord, specchio in minore di una nazione intera: i neri dei quartieri poveri, gli italoamericani della mala, un indiano che non teme la canna della pistola puntata, un portoricano che costruisce barche sul terrazzo, un ambulante franfocono, giocatore di scacchi, che non capisce una sillaba d’inglese e capisce ogni cosa, perché è un ‘migliore amico’ di professione. In questo stilizzato nucleo di mescolanze transamericane, tra vicoli scuri, angoli micidiali, tetti e garage, si muove come un soffio l’ombra ondeggiante di un fantasma, un uomo morto dal principio (meno romantico del Depp-William Blake di Dead Man, ma altrettanto crepuscolare), puro spettro di un universo guerresco sparito. Jarmusch parla lingue diverse come l’America che racconta: scherza e invece fa sul serio, o viceversa, finge di scombinare il noir mentre ne coglie il senso profondo, seppure trasfigurato, riscritto, persino purificato da un’ironia iperbolica piena di richiami interni, di sfumature, di risvolti. Un’ironia sottile o dichiarata a voce piena, utilizzata in modo da strutturare il film dall’interno, in passaggi veloci o insistiti, attraversando una battuta di dialogo o configurandosi come un vero e proprio sottotesto, capace di mantenere miracolosamente in equilibrio l’andatura insieme tragica e grottesca del racconto. I cartoons ne sono l’espressione più immediata, contrappunto comico che finge di sfregiare pathos e tensione, di sminuire i toni più acuti dell’elegia, senza mai offuscare il senso di morte (dispensata, attesa) racchiuso nel passo sbilenco del fantasma. Ascetismo, leggerezza (i magnifici duetti con Raymond, la comunione letteraria con la bambina ), simboli (la morte si annuncia come fosse uno specchio: Ghost Dog e il cane che resta a fissarlo), solitudine e violenza stilizzata si raccolgono attorno al potente ritratto del killer-samurai, mistico, spietato, silenzioso, neroamericano/orientale, icona meticcia di questo noir postmoderno che insegue incroci tra culture, registri espressivi, testi filmici e letterari diversi. Whitaker semplicemente perfetto.

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