CANNES 66 – "The Congress", di Ari Folman (Quinzaine des réalisateurs)

Robin Wright e Harvey Keitel in The Congress

Dal romanzo The Futurogical Congress di Stanislaw Lem, il regista israeliano fonde animazione 2D e live-action con Robin Wright che interpreta se stessa. Il tema della scomparsa del corpo come quella di un certo cinema viene banalizzata, l'ironia cercata senza essere quasi mai trovata e l'allucinazione, rispetto a Valzer con Bashir, sterilizzata. Anzi, messi i due film del cineasta vicini, vengono dei dubbi sulla sincerità del suo cinema

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Robin Wright e Harvey Keitel in The CongressCosa resta dietro il corpo di un’attrice? Se S1møne di Andrew Niccol prefigurava già 11 anni fa un cinema dove la figura virtuale può sostituire quella esistente, anche The Congress (che ha aperto la Quinzaine) vede nella scannerizzazione di una star famosa l’único antidoto per la sua sopravvivenza eterna sullo schermo.

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Robin Wright porta sullo schermo se stessa. Le lacrime sul suo volto nell’inquadratura iniziale con la voce-off del suo agente Harvey Keitel che poi si rivela, già la pongono come residuo dell’Hollywood del futuro. Lei infatti è stata un’attrice di successo ma poi ha deciso di ritirarsi a vita privata per occuparsi, da sola, dei due figli. Quello più piccolo (interpretato da Kodi  Smit-McPhee, gia' visto in The Road e Blood Story) diventerà cieco negli anni a venire a causa di una malattia degenerativa. Per aiutare la sua famiglia, decide così di tornare a recitare. Ma la Miramount non gli offre un vero e proprio ruolo ma solo di copiare la sua immagine per 20 anni e si troverà, suo malgrado, a interpretare quei film che aveva sempre rifiutato come i blockbuster di fantascienza.

Le ombre inquietanti di Beirut nella guerra in Libano all’inizio degli anni ’80 di Valzer com Bashir, abbinati a The Congress, rischiano anche loro di trasformarsi in puro esercizio estetizzante. Anche la morte che si sentiva potentemente dentro quel film, lascia a distanza di qualche anno dei dubbi su quell’operazione, proprio per il tipo di lavoro di riflessione che viene fatta in quest’ultimo film. Il film  infatti non solo banalizza il tema della scomparsa di un certo cinema, ma soprattutto l'israeliano Ari Folman si pone come una specie di predicatore che disserta sulla perdita d’identità.

The CongressTratto dal romanzo The Futurogical Congress scritto nel 1971 di Stanislaw Lem (lo stesso scrittore da cui Andrei Tarkovsky aveva adattato il suo Solaris nel 1972) e girato con una tecnica di animazione 2D e live-action, il film  cerca l’ironia senza mai trovarla (dalla Miramount alla comparsa di Michael Jackson come cameriere alla versione di New York con pezzi di grattacielo che partono) e soprattutto l‘allucinazione, proprio rispetto a Valzer com Bashir, appare sterilizzata. I protagonisti in carne ed ossa ritrasformati attraverso la técnica del rotoscoping già utilizzata da Richard Linklater in A Scanner Darkly, sono scarne metamorfosi ai limiti di un autocompiacimento. Gli sfondi rossi arrivano dal film precedente. Riciclaggio che s’inghiotte Robin Wright (prima di lei erano state contattate per questo ruolo Cate Blanchett e Cameron Diaz) e che è quasi pericoloso nella sua uniformità formale e che a questo punto pone seri dubbi sulla sincerità del suo cinema. E Niccol ancora oggi è ancora molto più avanti.

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