CANNES 66 – Incontro con Alex Van Warmerdam per “Borgman”

alex van warmerdam

Arriva in concorso il nuovo film dell’olandese Alex Van Warmerdam, personaggio trasversale tra teatro, cinema e pittura. Borgam è una storia dai toni divertiti e surreali, che racconta l’invasione di una comunità di personaggi bizzarri, una specie di demoni, nella vita di una ricca famiglia. Un film che prova a riflettere sulle origini intime del desiderio e del male. Il resoconto della conferenza stampa

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alex van warmerdamArriva in concorso il nuovo film dell’olandese Alex Van Warmerdam, personaggio trasversale tra teatro, cinema e pittura. Borgam è una storia dai toni divertiti e surreali, che racconta l’invasione di una comunità di personaggi bizzarri, una specie di demoni, nella vita di una ricca famiglia. Un film che prova a riflettere sulle origini intime del desiderio e del male. Il regista si è presentato alla conferenza stampa in compagnia del produttore, il fratello Marc Van Warderman, e degli interpreti Jan Bijvoet, Hadewych Minis e Jeroen Perceval.

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Qual è stato il punto di partenza del film?

È molto semplice. A un certo punto della mia avventura artistica mi sono ritrovato a leggere molte cose sul marchese de Sade, le sue opere, saggi su di lui. E queste letteure mi hanno dato l’occasione di pensare alle migliaia di cose che si nascondono nella nostra testa. Il film vuole parlare proprio di questi pensieri nascosti.

 

E la fase di scrittura da cosa è partita? Dalle scene, dalle situazioni, dai personaggi?

Il mio non è un lavoro sistematico. Non scrivo mai una sinossi all’inizio. Avevo un’immagine da cui partire, quella di Camiel Borgman dinanzi alla porta della prima casa che incontra. Ma non sapevo bene come andare avanti. Ma poi è stato lui a suggerirmi una relazione tra il suo personaggio e l’“infermiera”.

 

Qual è il senso del film? Si tratta di un’analisi sociale?

Cerco sempre di non dare un senso preciso ai miei film, in modo che lo spettatore abbia la libertà di interpretarlo secondo le proprie corde. È vero che si parla di un certo mondo e il film può essere interpretato come una critica della società occidentale, ma non era questa la mia intenzione iniziale. Semmai volevo mostrare il modo in cui il male prende possesso della gente. Ma non parlo di gente particolare, bizzarra, ma del tutto normale, quella gente che si può incontrare al supermercato o sulla strada.

 

Nel suo cinema i luoghi hanno sempre molta importanza. Si tratta per lo più di posti isolati, come questa casa, costruita ai bordi di una foresta. Si tratta di un’immagine antica che fa pensare al XIX secolo, ma al tempo stesso la casa è molto moderna. Come spiega questa contrapposizione?

Ci sono sempre delle foreste nei miei film. E c’è, inoltre, un legame molto stretto con la casa in cui era ambientato il mio lavoro precedente. Ma se lì si trattava di una casa in legno, qua avevo intenzione di mostrare un’abitazione più moderna, in cemento. In particolare questa casa mi ricordava, in qualche modo, il gioco degli scacchi, con i personaggi che si dispongono nello spazio, nelle camere proprio come se fossero delle pedine. Quando scrivo uan storia, una sceneggiatura, presto sempre molta attenzione alle questioni di messinscena, ai rapporti tra i personaggi e gli spazi. Mi piace pensare di poter tener sotto controllo questa disposizione e quindi organizzo il décor in modo da realizzare ciò che avevo immaginato. Voglio sempre che le cose restino così come erano state pensate all’inizio.

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