LOCARNO 66 – "Real", di Kiyoshi Kurosawa (Concorso)

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Dal romanzo di Rokuro Inui, un trapasso tra l'horror e la fantasy, con mondi paralleli e l'apparizione del Plesiosauto che è uno dei momenti più felici del film. Un cinema, quello del cineasta giapponese, ancora dell'inafferrabilità dove però l'immissione nelle zone del cervello appare troppo carica di elementi. E l'impressione è quella di un'involuzione autoriale mascherata dalla sua consueta densità.

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realE se i corpi dei due protagonisti di Real avessero il loro 'avatar'? Quindi non in viaggio in un'altra dimensione ma quasi doppi paralleli. Alla base un romanzo di Rokuro Inui, A Perfect Day for Plesiosaur in questi viaggi tra presente e passato. Lei Atsumi, ha tentato il suicidio ed è in coma da un anno. Il suo amico Koichi cerca di entrare in contatto con lei e risvegliarla ricorrendo alla terapia neurochirurgica del "sensing". Penetra così nel suo subsconscio e gli compare l'immagine in cui disegna manga alla sua scrivania. La ragazza, vedendolo, gli chiede di trovare un disegno che gli aveva regalato alle elementare e checonsentirebbe di farle tornare l'autostima come disegnatrice.

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Le zone dell'horror stavolta vengono avvolte dalla dimensione fantastica. Con un cinema che ha sempre le forme dell'innafferrabilità, dell'inconsistenza, proprio materiale, di protagonisti, oggetti e ambienti. Con quel bianco della sala esperimenti che diventa il ribaltamento di una luce, propriamente cinematografica, che da origine ad altre visioni. Entrano così in gioco manga, schizzi, tratti di disegni che poi prendono consistenza come nel caso dell'apparizione del Plesiosauro che rappresenta la parte più riuscita del film.

Il disegno teorico di Kurosawa però stavolta appare troppo elaborato, annodato nello stesso meccanismo che ha creato. La sua ambizione di filmare quello che c'è oltre la macchina da presa – elemento che attraversa spesso il suo cinema e che ha raggiunto vertici altissimi con gli spettri di Pulse – stavolta appare troppo legato ai frequenti salti temporali, ai tentativi di fermare il destino, a una smaterializzazione ridondante (anche la città che sparisce), come se sull'immagine che sparisce gradualmente si preferisse una più immediata sconnnessione.

Certo Real è pieno di spunti anche felici. Ma l'immissione dentro le zone del cervello appare troppo carica di elementi. Gli stessi che hanno attraversato spesso il suo cinema: le colpe alla Fritz Lang della straordinaria serie-tv Penance, la dimensione sempre meno realistica di Tokyo Sonata, l'acqua di Loft. E l'impressione è quella di un'involuzione autoriale mascherata dalla sua consueta densità.

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