TORINO 31 – 2 Automnes 3 Hivers, di Sébastien Betbeder (Concorso)

Scanditi in ideali capitoli, confusi come le emozioni che sottintendono, questi 2 autunni e 3 inverni raggiungono una contagiosa libertà espressiva, che a tratti ricorda il miglior Arnauld Desplechin. Betbeder orchestra una leggerissima indagine sull’anima di queste persone e utilizza il cinema (e il passato del cinema) come unico linguaggio rimasto comune a tutti noi…

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Il cinema di Sébastien Betbeder è una boccata d’aria fresca. Sia che scavi negli inquietanti maendri del nostro passato (o dell’immagine del nostro passato) come nel folgorante Les nuits avec Thèodor, sia che rifletta le mille facce diamantine del nostro presente (o futuro?) come in questo 2 automnes 3 hivers. Rimane uno sguardo perennemente innamorato quello del cineasta francese, come se la strenua e sincera lotta per la sopravvivenza dei suoi fragili personaggi nascesse politicamente dal bisogno di far sopravvivere anche l’inquadratura che li contiene. Questo è un film che non nasconde minimamente i suoi referenti (nouvelle vague, sempre e prima di tutto), calati intelligentemente nelle odierne dinamiche percettive e di fruizione dell’immagine. La vita dei due amanti Arman e Amelie, dal loro incontro alle mille difficoltà, si espande e si riflette istantaneamente nelle vite di chi gravita intorno, dall’amico Benjamin, alla sua ragazza Katja, persino al suo fratello depresso. Tutti chiamati in causa per testimoniare un pezzo di strada comune, un piccolo tassello di quel puzzle della nostra epoca che si incastona perfettamente con il nostro vissuto di spettatori.

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"Volevo fare questo film per condividere alcuni aspetti della società in cui vivo; per dare testimonianza, con umiltà, di un’epoca che volge al termine, di come cambia il modo in cui le persone si relazionano. Amiamo in modo diverso nel 2013 e abbiamo un approccio diverso alla morte."

Betbeder sfiora una travolgente libertà espressiva che a tratti ricorda il miglior Desplechin, convocando una miriade di linguaggi a noi familiari (il fumetto, la musica, la fotografia e il cinema…ovviamente) ma restituendoceli funzionali al (frammentatissimo) racconto del presente. Scanditi da ideali capitoli, confusi come le emozioni che sottintendono, questi 2 autunni e 3 inverni sono raccontati in prima persona dai tanti protagonisti, guardandoci negli occhi, tirandoci in ballo come il primo Godard, depurato dalla dirompente e ambiziosa densità sociologica tipica di quella stagione.

Perchè gli odierni Masculin, féminin, il maschio e la femmina, diventano semplicemente un maschio e una femmina. Con il cinema (e il passato del cinema) diventato nel frattempo l’unica traduzione possibile di ogni sentimento: ci si incontra come in un film di Eugène Green, ci si insegue ricordando le Funny People di Judd Apatow e ci si riconosce calati in un pericoloso noir metropolitano anni '70. E poi ci si innamora, su un balcone di periferia, parlando di ovvietà e pensando l'opposto, proprio come sul balcone di Io e Annie. Betbeder, insomma, orchestra una delicata e leggerissima indagine sull’anima di queste persone e utilizza il cinema come unico linguaggio rimasto comune a tutti noi. Parlando ancora con le immagini (costante dialettica tra alta e bassa definizione), ragionando con i supporti (pellicola, digitale) e ri-facendo il cinema a partire da essi.

E allora: se il discorso è sempre stato il cinema, la storia è ridiventata la vita. È la vita che si dispiega davanti ai nostri occhi, tra baci e malattie, letti d’amore e letti d’ospedale, aborti e rinascite, tentati suicidi e lacrime di gioia…sino ad arrivare a quell'ultimo metro (Truffaut, e sì, come non arrivare lì?) giusto in tempo per comprendere che, forse, l’unico futuro che vale la pena di costruire è il preciso attimo che si sta vivendo…

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