TORINO 31 – La bataille de Solférino, di Justine Triet (Concorso)


La bataille de Solférino non è un dramma in costume su una battaglia ottocentesca ma il racconto trascinante e disperato della rabbia di un’intera società dove l' odio ha contaminato tutti i rapporti. Alternando, come in un gioco di specchi, la guerra privata tra la cronista televisiva Leatitia e il suo ex-marito squilibrato alle immagini reali di aggressioni e scontri tra i sostenitori dei candidati, la Tiet dipinge una Francia allo sbando, dove la paura, il rancore e la disperazione hanno ucciso i sogni di un futuro possibile.

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E’ il 6 maggio 2012. I francesi, dopo oltre quindici anni di governo conservatore sono di fronte ad un bivio, incerti se confermare la fiducia allo spregiudicato presidente in carica Sarkozy o credere nelle tiepide promesse di cambiamento dell’incolore leader socialista Hollande. E’ una giornata decisiva per il futuro di tutta la nazione. Proprio tra la folla accorsa ad attendere l’esito delle elezioni a Rue Solférino, si muovono i protagonisti dell’opera prima di Justin Tiet. La bataille de Solférino, infatti, non è un dramma in costume sulla battaglia che vide le truppe franco-piemontesi sconfiggere l’impero austriaco ma un racconto trascinante e disperato della rabbia di un’intera società, dell’odio che contamina tutti i rapporti uccidendo i sogni di un futuro possibile.

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Alternando, come in un gioco di specchi, la guerra privata tra la cronista televisiva Leatitia (Leatitia Dosch) e il suo ex-marito squilibrato Vincent (Vincent Macaigne) alle immagini reali di aggressioni e scontri tra i sostenitori dei candidati, la Tiet dipinge una Francia allo sbando, dove nessuno ascolta le ragioni dell’altro lasciando lo spazio alla paura, il rancore e la disperazione, non curandosi delle conseguenze future (come potranno crescere le due bambine della coppia?). Anche nei momenti più leggeri la serenità è trovata solo attraverso lo stordimento, mantenendo saldamente una tensione sotterranea che sfocia in sguardi disperati o risate liberatorie isteriche. Questo film non è solo la fotografia di un Paese sull’orlo di una crisi di nervi, perchè il discorso portato avanti dalla regista oltrepassa i confini francesi.

Per uno spettatore italiano è impossibile non notare quanto gli inserti documentari nel film (con tutte le loro speranze inattese) siano identici ai tanti servizi sull’uomo della strada trasmessi dai nostri talk. La pellicola è talmente efficace a portare avanti la propria tesi universale che sarebbe bastato sostituire le elezioni presidenziali francesi del 2012 con quelle italiane dello scorso febbraio per realizzare un’opera altrettanto sincera sul nostro Belpaese. Sperando che qualche cineasta nostro concittadino trovi l’intuizione, o meglio il coraggio, di scendere in piazza e cogliere quello che sta succedendo nelle nostre strade, a noi e ai nostri cugini francesi non resta che provare a non perdere le nostre anime, come canta Ryan Gosling all’inizio e alla fine del film.

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