TORINO 31 – Flood Tide, di Todd Chandler e Sto Lyko – To the Wolf, di Aran Hughes e Cristina Koutsospyrou (Onde)

Bisogna solcare le onde in tempesta per guardare in faccia questo mondo alla deriva. Bisogna immergersi nella memoria e nella notte, per cercare cocciutamente percorsi nuovi e verità non precotte. È quello che fanno i giovanissimi registi di Flood Tide e To the Wolf, dall’America alla Grecia, in un cortocircuito di visioni che disegna straordinariamente i contorni della profonda crisi attuale

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Bisogna solcare le onde in tempesta per guardare in faccia questo mondo alla deriva. Bisogna immergersi nella memoria e nella notte, per cercare cocciutamente percorsi nuovi e verità non precotte. È quello che fanno i giovanissimi registi di Flood Tide e To the Wolf, dall’America alla Grecia, in un cortocircuito di visioni, un'unica onda, che disegna straordinariamente i contorni della profonda crisi attuale. Flood Tide parte dall’America profonda, tatuata dai colori innaturali dell’industrializzazione, e segue un gruppo di giovani musicisti che decide di farsi trasportare dalla corrente di un fiume, su una barca costruita ad hoc, guardando “politicamente” il mondo da un punto di vista instabile. Cercando di ri-ascoltare la voce lontana di una loro amica morta suicida, Maya, “smolecoralizzata” e viva negli elementi. Libera finalmente di dire. Todd Chandler si muove, come tanto cinema contemporaneo, in quel (forse non più tracciabile) confine tra documentario e fiction, associando la fluidità eclettica del suo essere artista – cinema, videoinstallazioni, musica – con una progressione filmica mai “risolta”, sempre in divenire, scandita dalla stessa voce di Maya che dalle profondità dell’acqua ci guida nel viaggio filosofico che i suoi compagni stanno tentando in superficie. Una sorta di road movie sull’acqua tra le rovine di un mondo, dove solo l’arte fine a se stessa può riconsegnare un anima. Una obbligata strada a doppia corsia.

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Dall’altra parte dell’Oceano si fa veramente fatica a trovare una speranza nel buio. La Grecia, una zona poverissima sulle montagne, una comunità da indagare anche qui nell’ibridazione della docufiction. To the Wolf è un progetto nato come un documentario sulla piccola comunità della Nafpaktia e sul loro unico punto di raccordo: il bar. Presto però questo bar è lasciato fuori campo, perché nel frattempo i due giovanissimi registi hanno dovuto affrontare la devastante crisi economica che ha sbriciolato un Paese gettandolo nel caos. Su quelle montagne se ne sentono solo gli echi lontani, nelle famiglie di due pastori che dalla Tv cercano di decifrare il perché la loro condizione stia diventando sempre più povera. Questo film è un eccezionale documento sulle conseguenze più periferiche di un sistema economico ormai al collasso: a questa zona sperduta, a quelle persone povere da secoli, non è più concesso nemmeno il lusso di vivere. Il film registra in tempo reale, come una finestra sul mondo, i minimi e inerrastebili cambiamenti nell’economia del luogo: anche un singolo capo di bestiame in meno venduto è una tragedia. Con un eccellente lavoro sul sonoro che associa i lamenti costanti delle pecore ai lancinanti lamenti di una società morente. Ma il film non è solo questo, è anche un sottile ragionamento sui miti e sulla memoria della cultura greca millenaria calati in una zona ancora profondamente legata alla terra e all’ancestralità delle sue leggi. Il finale da tragedia classica, però, è avviluppato nel buio. Non è più visibile. E se anche il cinema ha perso la propria luce…"noi non siamo ancora morti” ci dice la vecchia madre.

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