BERLINALE 64 – Macondo, di Sudabeh Mortezai (Concorso)


Giocando sul confine tra documento e finzione, Sudabeh Mortezai, al suo esordio in un lungometraggio di fiction, piuttosto che raccontare una storia di formazione, fotografa Macondo, un mondo borderline dove dove ogni destino sembra segnato, forse anche quello del piccolo protagonista.

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La Macondo di Sudabeh Mortezai, non ha nulla a che fare con l'immaginaria città sudamericana di Gabriel Garcia Marquez. Questa "città", invece è un complesso degradato nella periferia viennese, un non-luogo dove varie etnie si mescolano e provano a vivere l'una accanto all'altra. In questo particolare multing-pot austriaco, vive l'undicenne Ramasan, figlio della comunità cecena. Diviso tra la responsabilità di essere l'uomo di casa per la madre e le due sorelline e la spensiaratezza delle bravate stupide di un ragazzo della sua età, il bambino vedrà arrivare nella sua vita Isa, amico del padre morto, un ex-combattente che cercherà di avvicinarsi a lui. La regista, reduce da una solida carriera nel documentario, per il suo esordio nel cinema di finzione sceglie di non allontanarsi troppo dai suoi territori. Con uso abbondante e ripetitivo della camera a mano, la Mortezai si pone, letteralmente, dietro le spalle del piccolo Ramasan (l'esordiente Ramasan Minkailov), seguendone i travagli interiori e le mille difficoltà. La vita del piccolo ceceno, però, è solo la scusa per l'autrice per entrare in un mondo isolato, una galassia lontana dal nostro mondo borghese e rassicurante, dove ogni intervento esterno (i poliziotti, gli assistenti sociali) è visto quasi come un'invasione aliena, un'intromissione sgradevole e preoccupante. Come la Scampia di Matteo Garrone o la Charlestown di Ben Affleck, Macondo è il vero protagonista del film proprio per il suo essere un regno inaccessibile, dove ogni destino sembra segnato. Giocando sul confine tra documento e finzione, la regista piuttosto che raccontare una storia di formazione, fotografa un mondo borderline. Il cuore del film, infatti, è l'immagine inedita che si da del popolo ceceno, spesso imprigionato nelle categorie terroristi/martiri della propaganda occidentale. Una comunità di sconfitti che, costretta a convivere con le foto dei propri eroi defunti e con il peso di un passato difficile da abbandonare, è sempre in attesa di un sollievo che non arriverà mai.

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