VENEZIA 71 – Giulio Andreotti – Il cinema visto da vicino, di Tatti Sanguineti (Veneia Classici – Documentari)

Il documentarista e critico Tatti Sanguineti mostra nelle sale della Biennale veneziana il suo Giulio Andreotti – Il cinema visto da vicino, un documentario che si presenta come viva conversazione con Giulio Andreotti. Ma alla fine i panni sporchi dove devono essere lavati?

 

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Giulio Andreotti

Un'indagine riguardo le opinioni del senatore venuto a mancare nel maggio 2013, uno sguardo all'operato politico, riflesso nel mondo cinematografico, offrendo allo spettatore il duplice punto di vista privilegiato dell'intervistato e dell'intervistatore. Excursus nella politica e nel cinema italiano. Cartelli con titoli indaganti, velatamente ironici, introducono e scandiscono i paragrafi in cui è suddivisa la storia/ resoconto della vita italiana.

Nei suoi primi Comizi, in cui si rivolgeva direttamente al popolo, Andreotti ricorda come fosse necessario essere capaci di non leggere, ma di ricordare la frase d'inizio, quella che dà il via alla recita formale difronte ad una moltitudine di “spettatori politici”, e la frase finale, senza la quali i turbini di parole fluttuerebbero nell'aria senza ancorarsi ad un punto preciso, coincidente con la loro destinazione. L'oratore politico è un vero e proprio attore, che recita una parte su di un palcoscenico, pronuncia delle battute aventi ritmi, pause, momenti di acme e catarsi finale.

Tra foto d'epoca rigorosamente in bianco e nero scorrono le immagini che narrano la vita del giovane politico, alternate a primi piani fissi o in avvicinamento che indagano a fondo lo sguardo dell'uomo anziano. Sotto l'ala protettrice di De Gasperi, Andreotti inizia la sua scalata verso la vetta tanto ambita: il potere, un potere decisionale che sarebbe ben presto andato a scontrarsi con il bisogno di libertà proprio del mondo cinematografico. Ed è il momento di Cinecittà ed il tragico bagaglio che la II guerra mondiale ha portato con sé: circa 4000 accampati nelle sale un tempo adibite ad imponenti set. La memoria del politico incrocia dati storici, uno dei quali conduce al 1946, quando Andreotti ordina la costruzione di abitazioni per gli sfollati, liberando gli stabilimenti cinematografici da gran parte degli occupanti.

Un altro mostro sacro da combattere: la Censura. Ed è così che, per preservare l'apparente ordine pubblico, scene di giustizia sommaria vengono abolite, tagliate dalla pellicola Tragica Alba a Dongo (1949) per evitare polemiche e liti di alcun tipo. Ma la censura dilaga e va ad intaccare non solo la Settima Arte, ma l'Arte in tutte le sue forme, imponendo limitazioni all'esibizione del Bello Naturale, castrando opere del calibro del David di Michelangelo con orpelli aggiuntivi. La voce narrante sopraggiunge con la sua pungente ironia: “In Francia il nudo integrale, qui da noi il pane integrale del pudore”. Madre Censura si insinua addirittura nella bocca di Totò, sostituendo termini ritenuti apolitici con parole qualunquiste: “giovanotto” è accettabile, “compagno” nasconde il germe comunista. Dunque la lotta politica inficia sul cinema.

Un servizio d'inchiesta sulla verità, Sanguineti tempesta l'intervistato con domande via via più puntuali, tentando di svelare le motivazioni che spinsero a determinate scelte. “In Umberto D (1952) si contrappone la polizia alla gente”, questa la motivazione che spinse il senatore democristiano ad un'estenuante lotta contro la pellicola neorealista. L'immagine dell'Italia doveva essere preservata a livello nazionale così come all'estero, l'attore politico doveva continuare il suo discorso e vegliare sui contenuti audiovisivi. Andreotti sapeva che la battuta ultima del suo discorso alle masse sarebbe sempre stata: “I panni sporchi si lavano in famiglia”.

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