VENEZIA 71 – Senza nessuna pietà, di Michele Alhaique (Orizzonti)

Dove è finito il Cinema nero italiano? Dopo Anime nere, anche Senza nessuna pietà sembra poter smuovere qualcosa. Con tutte le sue suggestioni cinematografiche e il suo uso consapevole degli stereotipi, compie un'operazione concettuale serie, scegliendo la confezione del genere per raccontare la storia sbagliata di Mimmo e Tanya, lo scontro tra un oggetto inamovibile e una forza irrefrenabile.

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pierfrancesco favino in senza nessuna pietàDove è finito il Cinema nero italiano? Fino a qualche giorno fa questa si poteva considerare tristemente una mera domanda retorica.  In questi giorni veneziani, però, dopo l'incursione del concorso dell'ottimo film di Francesco Munzi qualcosa sembra essere cambiato. Senza nessuna pietà, il film d'esordio dell'attore Michele Alhaique (Benvenuto Presidente!, Che bella giornata) è infatti una sorprendente e dura pellicola di genere, nata per smuovere qualcosa.

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Appoggiandosi, con sana furbizia, anche su un'impostazione commerciale dal sapore hollywoodiano (il marketing con l'uso dei social network, i character poster), il film cerca di regalare al pubblico un prodotto nostrano di cui non è, cinematograficamente, più abituato.

La vicenda è archetipica, con il duro delinquente di poche parole in cerca di redenzione nell'amore per una giovane prostituta dal cuore d'oro.

Alhaique non ha, infatti, la presunzione di raccontare nulla di originale.  Nel suo immaginario narrativo è facile riconoscere i tantissimi riferimenti cinematografici con cui riempie la pellicola. Audiard, il Drive di Refn, il noir urbano e proletario del cinema inglese (Mona Lisa di Neil Jordan su tutti) sono solo alcune suggestioni messe in bella vista e non nascoste. Il regista, tra questa riconducibilità manifesta alle fonti e l'uso spregiudicato di stereotipi, compie in piccolo un'operazione concettuale simile a quella del professor Nic Pizzolatto (vedi il romanzo Galveston dallo sviluppo narrativo simile). La confezione di genere è la scusa per raccontare la storia sbagliata di Mimmo e Tanya, degli effetti devastanti del loro incontro, lo scontro tra un oggetto inamovibile e una forza irrefrenabile. Alhalique con il suo anti-eroe stanco, un Favino appesantito dalla propria magnifica maschera da Bud Spencer tragico, racconta la parabola di un uomo vittima delle proprie scelte sbagliate, legato ad un mal riposto senso del dovere e della riconoscenza. Solo la liberazione salvifica dell'amore casto per una giovanissima prostituta (la splendida Greta Scarano) con la sua ipotesi di un futuro migliore, lancerà Mimmo verso il proprio inevitabile destino.

In una Roma inconsueta che piacerà a Marco Risi, Alhaique segue il riscatto di questo enorme uomo vuoto, un personaggio capace, come pochi, di trasmettere tutta la propria disperazione (e poi, la propria speranza) con parole balbettate, sguardi sfuggevoli, gesti tesi. Se al posto dei nostri attori, Senza nessuna pietà avesse avuto Tom Hardy, Billie Pepper o Peter Mullan, in molti avrebbe gridato supinamente al capolavoro, ma l'esordio di Alhaique, pur con tutti i suoi difetti e imperfezioni, tenta con orgoglio di riprendere la lezione di Claudio Caligari (L'odore della notte), dimostrando tutta la propria onestà.

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