VENEZIA 71 – Jayueui onduk (Hill of Freedom), di Hong Sang-soo (Orizzonti)

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Come fosse uno di quei sublimi scarti temporali che fendono ogni suo film e lo aprono al dubbio della vita…torna Hong Sang-soo con l’ultimo tassello di un mosaico ormai straordinariamente (con)fuso, che sembra sempre più configurare la nostra calda casa di spettatori. Hong filma i (propri) ricordi concependoli come puri fantasmi che vagano in una memoria/schermo sempre più distillata nel sentimento che sottende

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https://i0.wp.com/s3.amazonaws.com/media.tiff.net/content/carousel/c9e77024fed74c347fbdcd139dda6f11.jpg?resize=400%2C201&ssl=1Come fosse uno di quei sublimi scarti temporali che fendono ogni suo film e lo aprono al dubbio di ogni singola vita…torna Hong Sang-soo con l’ultimo tassello di un mosaico ormai fittissimo e straordinariamente (con)fuso, che sembra sempre più configurare la nostra calda casa di spettatori. Hong filma i (propri) ricordi reiterandoli all’infinito e concependoli ormai come puri fantasmi – quindi cinema – che vagano in una memoria/schermo sempre più distillata nel sentimento che sottende. Poco più di un’ora di film questa volta. Per presentarci l’ennesimo “ritorno” di un personaggio (l’ennesimo the day he arrives), in un luogo caro da chiamare casa, perché “bisogna vivere dove vive il tuo amore e non importa se ora non c’è, importa che io sia qui, importa pensare a lei” (frase stupenda, lanciata lì, tra un bicchiere e una pacca sulla spalla). L’uomo è alla ricerca della donna che ama, lasciata tempo prima, chi lo sa quando; ora torna in Corea dal natio Giappone solo per cercarla e non la trova, lei è fuori città a fare la “cura dell’uva” e curare lo spirito. Questa lei ideale ha ricevuto (ma quando? In un punto imprecisato del tempo) un pacco di lettere, un vero e proprio diario, che l’uomo aveva scritto e spedito. La donna, emozionata, confonde quelle lettere, le sovrappone, le legge senza una coerenza temporale consegnando(ci) paradossalmente un'intima coerenza sentimentale che è l’ennesima sublime riflessione metacinematografica di Hong.

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Ed eccoci qui: di nuovo piccoli alberghi, ristorantini, bar, mangiate, bevute e infinite camminate. E poi tante persone incontrate per la prima volta ma sentite subito come carissime, come il più vecchio dei confessori di cui ci si fida ciecamente. La settimana passerà ruotando intorno a La collina della libertà, il nome del locale dove il ragazzo incontra un'altra giovane donna, infelice e costretta in un fidanzamento ossessivo. Giorni di amore, fisicità, pace e poi…non si sa, si torna indietro. Perché il sentimento non è prevedibile e non è mai contenibile, nemmeno in un film. E allora le discrasie temporali alla Resnais che inabissano la narrazione restituiscono per l’ennesima volta un’incomprensibilità delle storie che è poi quella della vita. Un’incomprensibilità che comprenda in pieno l’esperienza e la memoria di ognuno di noi, sino alla prossima tappa del viaggio. A presto caro Hong.

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