VENEZIA 71 – Arance e martello, di Diego Bianchi (Settimana della Critica)

Un’opera satirica a metà tra l’inchiesta e la finzione, che descrive i cambiamenti politici in corso attraverso una piccola realtà di quartiere. A un attacco esplosivo, che getta lo spettatore nella romanità estrema e genuina, non corrisponde però uno sviluppo adeguato del film che fatica a uscire da un intento puramente goliardico

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La fantasia di alcuni recenti titoli di film italiani, La mafia uccide solo d’estate o Hungry Hearts tanto per restare in clima veneziano, traduce spesso la volontà di fare informazione sfruttando le molteplici potenzialità del mezzo cinematografico. Arance e martello rientra in questa categoria, stabilendo immediatamente il tema e il tono della storia su cui si abbatte tagliente la falce (in)visibile del regista.
Nel pieno centro di una Roma estiva – è la giornata più calda da centocinquant’anni, dice la radio – un mercato rionale rischia di chiudere per una delibera del Comune. I commercianti si rivolgono allora all’unica sezione del Partito Democratico aperta ad agosto, scatenando un’imprevedibile rivolta dagli esiti paradossali.

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Diego Bianchi, in arte Zoro, che qui recita nella parte di aspirante documentarista, fa propria l’esperienza di video blogger e autore-conduttore televisivo debuttando sul grande schermo con un’opera satirica a metà tra l’inchiesta e la finzione
, che descrive i cambiamenti politici in corso (la vicenda è ambientata nel 2011, prima delle dimissioni di Berlusconi) attraverso una piccola realtà di quartiere. Fascisti e comunisti, sindaci e assessori, violenti partigiani e sensuali ricercatrici, extracomunitari di fede laziale e “carciofai” che invece si affidano a Padre Pio, sono i volti di un popolo in lotta con le istituzioni che non riesce ad abbattere le barriere comunicative – rappresentate dagli infiniti cantieri della metro c ormai integrati nel paesaggio urbano – e che vede nella protesta una delle poche possibilità di dialogo. Manifesto estetico e narrativo di questo multiculturalismo italiano è Fa’ la cosa giusta di Spike Lee che Bianchi cita ripetutamente, dalla scena iniziale di danza al monologo finale dei personaggi, adattando il contesto afroamericano alla situazione attuale del nostro paese: Malcolm X, Nelson Mandela, Martin Luther King e Mike Tyson vengono rimpiazzati dalle foto di Berlinguer, Occhetto, Veltroni e Totti, simbolo mi(s)tico della Capitale, che fa di San Giovanni la spassosa cornice dell’azione.

A un attacco esplosivo, che getta lo spettatore nella romanità estrema e genuina, non corrisponde però uno sviluppo adeguato del film che fatica a uscire da un intento puramente goliardico. Arance e martello sembra più un prodotto dal respiro televisivo che forse avrebbe trovato la sua giusta dimensione nella sitcom o all’interno di un programma, sotto forma di sketch.


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