FESTIVAL DI ROMA 2014 – Fino a qui tutto bene, di Roan Johnson (Prospettive Italia)

La sua semplicità, per certi aspetti anche la sua ingenuità, dà una bella ventata d'aria fresca al cinema italiano. E il rapporto come è illuminata Pisa e il legame tra i protagonisti e l'appartamento sembra simile a una commedia francese. Pieno di momenti divertenti ma con dentro anche zone di febbrile malinconia. Già una specie di 'grande freddo' che si sta vivendo prima che sia finito.

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La sua esibita povertà è la sua forza. La sua semplicità, per certi aspetti anche la sua ingenuità, dà una bella ventata d'aria fresca al cinema italiano. Fino a qui tutto bene è l'altra faccia degli 'immaturi' di Paolo Genovese o di quelle commedie sui giovani post-universitari in crisi. E per certi aspetti, nelle luci di Pisa, nel modo in cui è vissuto quell'appartamento dove i cinque ragazzi che ci hanno vissuto e studiato per anni e ora ci stanno trascorrendo l'ultimo fine settimana, e rimanda più a certe commedie francesi, dal modo in cui l'abitazione muta nel corso del film (da Travaux. Lavori in casa di Brigitte Rouan a Il mio migliore incubo! di Anne Fontaine) al rapporto con quello spazio visto come provvisorio che però poi rappresenta un pezzo di vita determinante del loro pecorso di L'appartamento spagnolo di Cédric Klapisch.

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Quei colori giallastri potrebbero essere anche assemblati al ricordo vissuto e rivisto più tardi in un filmino amatoriale. Ma il tempo qui è il presente. Si comunica, per esempio, con skype ai genitori di essere rimasti incinta. Oppure si vede in tv il volto di una ragazza che prima stava in casa e ora invece ha raggiunto la notorietà (Isabella Ragonese). Ma al di là della simpatia che suscita fin dall'inizio il cinema del regista da I primi della vista (qui, sui titoli di testa, si firma come "un incredulo Roan Johnson e da quel film si porta con sé Paolo Cioni), qui si ha la sensazione di un'ulteriori passi avanti di un cinema che ha mantenuto la sua (in)sana follia. Tra trombate con l'anguria, discussioni sul cibo scaduto che mostrano l'estrema vivacità di dialoghi che sembrano uscire proprio dalla bocca dei cinque protagonisti e non sembrano essere scritti tra loro, passa neanche troppo sotto traccia un'altra riflessione sull'aspirazione e la precarietà del mestiere dell'attore che rende, da questo punto di vista, questo film quasi parallelo all'ottimo Tre tocchi di Marco Risi.

Il cinema di Johnson ha un innato senso del ritmo, entra nelle zone di una comicità che combacia anche con quella toscana senza mai farla diventare facile punto d'approdo. Forse dovrebbe controllare maggiormente qualche sguardo in macchina, qualche racconto in prima persona che poi mostra di essere generazionale. Ma è un cinema che è anche in fase di evidente crescita. Il momento in cui i protagonisti vanno su quella curva di una strada in cui è morto un loro amico o il dialogo illusorio tra l'attrice e il suo ex, portano dentro anche quelle zone di febbrile malinconia dove stavolta ciò che si perde non è vissuto al passato ma al presente. Come se quello di Fino a qui tutto bene fosse già una specie di 'grande freddo' che si sta vivendo prima che sia finito.

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