FESTIVAL DI ROMA 2014 – Black and White, di Mike Binder (Alice nella città/Gala)

Tornano a lavorare insieme Costner e Binder a dieci anni di distanza di Litigi d'amore. E ne viene fuori un altro film di sconvolgente intensità dove l'attore sembra proiettarsi verso quell'integrità morale di Spencer Tracy. Felicemente sospeso tra tragedia e commedia, un film sul 'ricominciare a vivere' ma anche dal solido impianto processuale

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Si mette le dita vicino al petto Elliott dopo che sua nipote Eloise lo saluta allo stesso modo prima di entrare in classe. Un cenno d'intesa, più che di saluto, ripetuto più volte. E Black and White, prima che un film sul contrasto razziale, sulla diffidenza nascosta dal perbenismo, quasi riaggiornamento con la stessa solidità narrativa di Indovina chi viene a cena?, è proprio un film sul 'ricominciare a vivere'. Da parte sia del nonno che della nipote. Con gesti ripetuti: i capelli da spazzolare, il fiocco da fare. Si sente lo stesso vuoto di tutto un grande cinema statunitense anche recente ma inspiegabilmente sommerso come Moonlight Mile di Brad Silberling o un altro strepitoso film di Mike Binder, Reign Over Me.

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Regnano su Elliott ed Eloise, sia la mamma che la figlia dell'uomo. Come degli angeli nella 'città degli angeli' Los Angeles. Lui si è ritrovato di colpo vedovo dopo che la moglie è deceduta in un incidente d'auto. Sua figlia era morta di parto mettendo al mondo Eloise, una bambina di colore, mentre il padre, un tossicodipendente, era scomparso subito dopo la morte della ragazza. Ma Rowena (Octavia Spencer) la nonna paterna della bambina, chiede l'affidamento di Eloise ed Elliott si trova così coinvolto in una battaglia legale senza esclusione di colpi bassi nella quale tornano a galla anche dei vecchi pregiudizi.   

Tornano a lavorare insieme Kevin Costner e Mike Binder a dieci anni di distanza di Litigi d'amore. E ne viene fuori un altro film di sconvolgente intensità, dove l'attore sembra sempre collegato con la sua immagine del passato proprio come Redford in La regola del silenzio. Se quest'ultimo rincorreva gli spettri di Sydney Pollack e del cinema americano degli anni '70, Costner invece fa un salto temporale in avanti proiettandosi verso quell'integrità morale di Spencer Tracy. Questo si vede soprattutto in tutta la parte processuale. Vincitori e vinti. Che non molla mai un attimo il livello di tensione ma che regala insieme, una lezione di recitazione e insieme di scrittura, nella scena in cui Elliot nella deposizione smonta le tesi di un possibile atteggiamento razzista nei confronti del padre della ragazzina.

L'inizio riporta a Gioco d'amore. Proprio nello sfondo sfocato da cui emerge il protagonista. Qui seduto in ospedale dove la moglie è deceduta. Ma in Elliott ci sono anche tutte le fragilità e le debolezze che hanno spesso segnato i personaggi interpretati dall'attore, in questo caso la dipendenza dall'alcol. Senza calcare mai la mano, pur in una caratterizzazione esemplare. Binder lo confonde e lo annega con i suoi fantasmi, in primo luogo quello della moglie che appare, ma anche quelli del suo passato, dallo stesso film di Raimi a L'uomo dei sogni fino a Fandango

Quando ha il ruolo giusto Costner è tra i pochissimi attori statunitensi che riescono a marchiare il film dandogli il suo tempo. Ma Black and White (pensare all'ipotetico corrispettivo italiano, Bianco e nero di Cristina Comencini, vengono i brividi) è anche un film di Mike Binder, soprattutto in quella felice sospensione tra tragedia e commedia. Con battute fulminanti che si esauriscono nel tempo di tre secondi. "Sai cosa sanno fare gli avvocati?" – "Cosa?" – "Niente".

 

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