FESTIVAL DI ROMA 2014 – Haider, di Vishal Bhardwaj (Mondo genere)

haider

Bhardwaj non ha paura di nulla e si fa carico di tutto, del peso del testo, della fama dei suoi interpreti, della grandezza dell'apparato produttivo, per piegarlo alla sua visione magnifica e sanguinaria. Trasforma il dubbio amletico del suo protagonista in un discorso politico sull'ingannevole anima di un paese intero, che professa l'apertura della modernità, ma non sa rinunciare alla barbarie della corruzione e della repressione

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haiderLe stelle di Bollywood tornano a Shakespeare, al padre supremo di tutto il dramma moderno. Come un nuovo Kurosawa, Vishal Bhardwaj guarda a occidente per trovare un'altra chiave di lettura della sua storia e del suo mondo. E dopo Maqbool (2003), basato su Macbeth, e Omkara (2006), ispirato ad Otello, arriva finalmente ad Amleto, catapultato nel 1995, nel mezzo del conflitto del Kashmir, tra forze di militanti separatisti, repressione indiana e pressioni pakistane.

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Il giovane Haider torna dai suoi studi nella città natale per mettersi alla ricerca del padre, il dottor Hilal Meer, scomparso dopo essere stato catturato dall’esercito, perché accusato di prestare soccorsi ai militanti. Nei campi militari e nella prigioni, nessuna traccia. Haider non sa a chi votarsi, ma nel momento in cui vede sua madre, la bella e amorevole Ghazala, in intimità con lo zio Khurram, il fratello di Hilal, intuisce che dietro quella scomparsa si cela una verità più terribile. Di fronte al ragazzo non si aprono che due strade, forse non molto lontane tra di loro: la follia o la vendetta.

 

haiderDi certo non scopriamo oggi la potenza inesauribile di Shakespeare, ma, come sempre, la vitalità delle cose, dei testi, delle poesie, delle idee, ha bisogno di legna da ardere, deve accendersi di un fuoco nuovo per tramutarsi in altre forme e ipotesi. Quello che ha ben chiaro Vishal Bhardwaj è che, al di là della verità profonda dei sentimenti e dei rapporti che racconta, il segreto di Shakespeare sta nella capacità di attraversare l'intero spettro di questi sentimenti e rapporti, tutto un universo esplosivo di toni, emozioni, pensieri. E perciò Haider si apre a una gamma infinita di sensazioni, luci e ombre, colori, tinte, mezzetinte. In questo Bhardwaj sembra mettere in gioco la sua formazione di musicista. Lavora per variazioni, brusche o lievi a seconda dei momenti. Dalla violenza più brutale alla tenerezza impudica, dagli abissi della tragedia ai picchi di romanticismo, sembra attraversare l'intero mondo genere: il mélo più acceso, il war movie, l'action, il thriller, fino alla commedia, incarnata dai due terribili guitti Salman e Salman. Il musical esplode solo in una scena – fantastica, quella in cui Haider rinfaccia ai traditori le loro colpe –, ma rimane, come tradizione, il filo rosso che collega le mille schegge del film, con le canzoni che danno sangue e corpo ai suoi mutevoli umori. Metagenere che ingloba e contiene tutti gli altri, che si fa stile di scrittura visiva, caméra-stylo, a ancor più linguaggio, codice di ingresso a un altro mondo dell'immagine, a una diversa modalità della narrazione, della percezione e dell'espressione dei sentimenti, delle storie, delle passioni.

 

haiderBhardwaj non ha paura di nulla e si fa carico di tutto, del peso del testo, della fama dei suoi interpreti, Tabu, Shahid Kapoor, Irrfan Khan, della grandezza dell'apparato produttivo, per piegarlo alla sua visione magnifica e sanguinaria, struggente e brutale di corpi intrecciati nell'amore e poi fatti a pezzi. Trasforma il dubbio amletico del suo protagonista, stretto tra la lucida consapevolezza della colpa e la cecità degli affetti più viscerali, in un discorso politico su una regione divisa tra due forze e due tentazioni e, più in generale, sull'ingannevole anima di un paese intero, che professa l'apertura della modernità, ma non sa rinunciare alla barbarie della corruzione e della repressione. Tutto ridiventa spettacolo, comunque.

È forse inconcepibile per noi, ma qui il blockbuster è, al tempo stesso, un sistema codificato, con le sue regole, i suoi canoni di riconoscibilità, leggibilità e commerciabilità, ma contempla e contiene in sé già le vie di fuga, la possibilità delle esagerazioni impreviste, delle follie più estreme – come Shakespeare, appunto, il blockbuster della letteratura universale. Al punto che una grande star non è più solo un corpo e un volto da copertina o un'icona sacra. È, letteralmente, un fuoco d'artificio da far esplodere nel firmamento dello spettacolo. Nessun Tabu (e la nostra splendida protagonista perdoni il greve gioco di parole). È la meraviglia di questo cinema.

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