FESTIVAL DI ROMA 2014 – Kevin Costner, American Skin


Ieri all'Auditorium, accompagnando il film di Mike Binder Black and White, Kevin Costner tra incontri con la stampa in albergo e conversation con il pubblico ha raccontato cosa vuol dire per lui oggi essere un attore/cineasta, un musicista, un padre, un americano…

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Ieri all'Auditorium, accompagnando il film di Mike Binder Black and White, Kevin Costner tra incontri con la stampa in albergo e conversation con il pubblico ha raccontato cosa vuol dire per lui oggi essere un attore/cineasta, un musicista, un padre, un americano…

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Costner: gli Stati Uniti vivranno sempre con il forte debito e il senso di colpa riguardo alla macchia nel nostro passato costituita dalla schiavitù. Le persone che chiamavamo schiavi ci hanno aiutato a costruire l'America, ma come ripagare per questo torto? Non ho una risposta per la questione razziale, che questo film affronta, e che negli USA è una problematica ancora scottante: le differenze sono tutt'ora la bellezza del mondo, per questo ho deciso di raccontare con Binder una storia ambientata al giorno d'oggi, non ai tempi degli schiavi.

Come ci si sente ad affrontare questo nonno Elliott sullo schermo?

Costner: Elliott ad un certo punto fa un discorso il cui significato ritengo sia molto importante, in aula. La sceneggiatura di Mike è stata rifiutata dagli studios, non era considerata redditizia, allora insieme a mia moglie abbiamo deciso di metterci noi i soldi per vederla realizzata. Perché c'è differenza tra quando un attore piazza giusto il proprio nome tra i produttori, e quando decide di finanziare sul serio un film di tasca propria. Black and White ha anche numerosi momenti di leggerezza: spesso anch'io in passato sono stato vittima di pregiudizi, un bel ragazzo non poteva anche essere intelligente. In effetti io mi sento un po' stupido ma lavoro un sacco e quotidianamente per diventare più sveglio.

Ma lei è ancora l'eroe di diverse generazioni!

Costner: ogni film che ho fatto, l'ho affrontato con un approccio diverso, ma senza dimenticare mai che ognuno di noi al cinema ritorna bambino, e ha bisogno di quell'eroe sullo schermo da seguire, senza macchia, in cui immedesimarsi. Per questo per me il Globe vinto per Hatfields & McCoys è uno dei premi più importanti e significativi di tutta la mia carriera. Sarebbe stato molto più facile e redditizio per me se avessi accettato un unico genere di ruolo, invece nella mia filmografia posso fare e aver fatto grandi blockbuster come pure piccoli film. Soprattutto, se si tratta di un film che nessuno sembra voler portare avanti, ecco lì mi ci fiondo io.

C'è ancora spazio nell'industria americana per un film piccolo come questo?

Costner: tutti noi amiamo i grandi film, ma tra chi come me fa cinema c'è sempre stato un piccolo posto nel cuore per progetti più intimi come questo. E sappiamo che possono avere un pubblico, essere amati. Per mio padre la mia decisione di diventare un attore fu una tragedia, non avendo mai avuto nessuno in famiglia impegnato nel mondo dello spettacolo, non aveva idea di come potermi aiutare. Perciò Balla coi Lupi o Bull Durham furono realizzati con budget ridotissimi, per poi diventare successi enormi al botteghino in tutto il mondo. Non sono nuovo a queste dinamiche…

Qual è la dimensione in cui si trova oggi più a suo agio?

Costner: la mia carriera di uomo di cinema, o quella di musicista con i Modern West, sono tutte cose che passeranno, aspetti che possono svanire da un momento all'altro. Ma il mio essere padre, quello rimarrà per sempre. Anche se sono superimpegnato, cerco di passare a casa con i miei figli tutto il tempo possibile, li accompagno a scuola, li vado a riprendere, gioco con mia figlia di 4 anni a restare immobilizzato come nel cartoon Frozen. In questo comprendo appieno Elliott in Black and White, che salvaguardando la piccola Eloise è come se cercasse di non spezzare quell'unico e ultimo legame rimasto tra le due donne della sua vita, la moglie e la figlia, entrambe perdute. Mia figlia Lily si esibisce anche in una deliziosa performance canora all'interno del film, nella scena della cerimonia funebre.

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