La pecora nera

di Ascanio Celestini

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la pecora neraInterpreti: Ascanio Celestini, Giorgio Tirabassi, Maya Sansa, Luisa De Santis, Nicola Rignanese
Origine: Italia, 2010
Distribuzione: BIM
Durata: 93'

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Nel film ho tentato di evocare un terzo livello percettivo che si creasse dal connubio tra la voce fuori campo e le immagini (Ascanio Celestini). E' infatti attraverso la voce fuori campo dello stesso protagonista Nicola (Ascanio Celestini – Mio fratello è figlio unico, Questione di cuore) che si dipanano i racconti dei suoi 35 anni di manicomio, luogo in cui sin da bambino si recava a trovare la madre malata, accompagnato dalla nonna (Barbara Valmorin – Pasqualino Settebellezze, L'aria serena dell'ovest, L'amico di famiglia), donna d'altri tempi. Il film offre, attraverso lo sguardo poetico ed alieno del protagonista, uno spaccato della condizione di vita dei malati mentali in Italia, a partire da quei "favolosi anni sessanta" dell' infanzia di Nicola fino al giorno d'oggi in cui l'uomo, non si sa se da malato o da infermiere -in realtà, non c'è molta differenza- ancora si trova ad abitare in manicomio.

Grazie anche alle pregevoli interpretazioni di Giorgio Tirabassi (La cena, Paz!, Le serie televisive Distretto di Polizia, Paolo Borsellino e I liceali) e di Maya Sansa (La balia, Buongiorno Notte, La meglio gioventù, L'amore ritrovato, L'uomo che verrà) nel ruolo di Marinella, l'amore della vita di Nicola  fin dai tempi della scuola, il film presentato in concorso a Venezia 67 ha riscosso un discreto numero di consensi, soddisfacendo anche le aspettative di chi, avendo già assistito allo spettacolo teatrale nonchè letto il libro, attendeva con curiosità questo esordio del cantastorie Celestini dietro la macchina da presa.

Nonostante il punto di vista interno all'opera sia estremamente intimista e singolare, la concezione dell'autore sull'argomento manicomio riprende da vicino l'ottica ampia di Basaglia, il quale quando parlava di come riformare l’istituzione manicomiale guardava al problema nel suo complesso cioè guardava alla scuola, alla fabbrica e ad ogni altra istituzione della nostra società e quindi si trattava di cambiare e trasformare anche quelle insieme al manicomio (Ascanio Celestini)

Attraverso la collaborazione di validi tecnici quali Daliele Ciprì alla fotografia (Tano da morire, Mare nero, Vincere) e Ugo Chiti alla sceneggiatura (L'imbalsamatore, Gomorra, Italians), il regista traspone al cinema la propria ossessione per la ripetizione, qui giustificata anche sul piano narrativo dal carattere atipico del personaggio narrante, perché la parola in realtà non dice la cosa, ma la circoscrive fino ad accerchiarla, anche se il suo significato scompare. (Ascanio Celestini)

 

(E.D.N.F.)


 

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