40 anni dopo torna al cinema Amici miei di Mario Monicelli

Torna in sala, fresco di restauro, Amici miei di Mario Monicelli. Un capolavoro di equilibrio, umanità e di epicurea vitalità in cui ritrovare i valori dell’amicizia e della solidarietà delle anime.

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Mai avere la speranza. La speranza è una trappola, è una cosa infame inventata da chi comanda.
Mario Monicelli

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È ormai noto che Amici miei sarebbe stato un film che avrebbe dovuto dirigere Pietro Germi e forse avrebbe costituito una evoluzione della sua poetica così malinconicamente retrò e così acidamente contemporanea in un’epoca di immobilismo politico davanti all’avanzare del nuovo e alle eco di una modernità incombente. Abbiamo sempre pensato che Mario Monicelli, la cui poetica viaggiava su corde assai simili a quelle del suo collega ligure, sia stato l’insostituibile erede (almeno per ritrovare il senso profondo di quel film) di Pietro Germi. Lo stesso pessimismo connaturato costituiva il fondamento di ogni racconto e se per Monicelli la parola “speranza” era una infamia, sicuramente Germi ne avrebbe condiviso l’opinione.
In questo clima, che già aveva il sapore di una genetica malinconia a causa della prematura

scomparsa del suo ideatore, nasce questo film così amato e ancora a distanza di quarant’anni largamente citato come perfetto cult per raccontare una sorta di eterna giovinezza e fanciullesca voglia di vivere. Il film, che avrebbe avuto due sequel il secondo sempre girato da Monicelli e il terzo da Nanni Loy e un discutibile prequel, a guardarlo bene è anche altro.
Amici miei è dunque un piccolo capolavoro di equilibrio, di umanità, di epicurea vitalità, di pratica del carpe diem, di messa in scena del lato più puerile dei caratteri precipuamente maschili, del senso profondo dell’amicizia, dell’insostituibile valore della comunione e solidarietà delle anime, ma, a guardarla tutta, dietro le vicende dell’allegra brigata di amici c’è in agguato il senso di finitezza della vita, delle cose del mondo e la consapevolezza che prima o poi tutto dovrà finire. In questo senso Amici miei è uno dei film più dolenti di Monicelli, un film in cui l’assenza di speranza è commisurata alla immanenza della parte gaudente della vita come unica forma di esistenza. Monicelli, Germi, De Bernardi, Benvenuti e Pinelli hanno scritto un piccolo trattato di esistenzialismo. È sicuramente per queste ragioni che il film incanta il pubblico, perché rispecchia le pieghe malinconiche dell’anima, mascherate da allegria infinita. Forse con questa compiutezza nessuno ci era riuscito – a parte Fellini con I Vitelloni – e Amici miei rimane un film unico e irripetibile.

Amici miei, 1975

Amici miei, 1975

Monicelli mentre si rispecchia in questo film così tanto aderente ad una sua concezione anche un pò cinica della vita, riflette su una filosofia della vita che tanto più è allegra o tende alla scanzonata allegria, tanto più si richiude in un pessimismo non risovibile. In questo percorso così accidentato quanto dall’esito felice è stato coadiuvato da una team di attori di invidiabile forza espressiva e capacità di riprodurre il senso di questa realtà provvisoria e della stessa approfittarne senza remore, senza scrupoli e senza rimpianti, di tutto e del tutto ancora di più. È la ricerca di una felicità che porta al nichilismo e in questo il film di Monicelli si fa davvero superbo, superando ogni confine stretto che lo vorrebbe relegare dentro un astratta, quanto costrittiva catalogazione, quando invece la sua essenza è quella di una lucida riflessione sull’infelicità. Ma non il diritto all’infelicità di Leopardi, quella infelicità che rifiutiamo e che invece ci aggredisce.
I cinque amici fiorentini protagonisti delle “zingarate” sono Lello Mascetti, nobile decaduto che

Amici miei, la supercazzola

Amici miei, la supercazzola

ha la maschera godereccia di Ugo Tognazzi, Rambaldo Melandri è Gastone Moschin, che dietro il perbenismo della sua condizione nasconde l’impenitenza del cinquantenne, Giorgio Perozzi è il giornalista amaramente disilluso lontano da figlio e famiglia e gli da volto Philippe Noiret, poi c’è “il Necchi” Dulio De Prete, barista e donnaiolo, e da ultimo il buon prof. Alfeo Sassaroli un medico che si è aggiunto tardivamente all’irriverente sodalizio con il faccione di Adolfo Celi. Il loro scopo è quello di sfuggire dalle loro vite che considerano misere – povere come nel caso del Mascetti – e solo la solidarietà del vincolo di inesauribile amicizia sembra sciogliere i nodi della vita. I cinque protagonisti sono i prototipi di una provincia del mondo, sradicati e solitari, che come palliativo all’oscuro male del vivere si rifugiano nello scherzo atroce carico di bonaria cattiveria e nella mistificazione satirica della realtà. La “supercazzola prematurata con doppio scappellamento” nella sua geniale forma di nonsense verbale, diventa sintesi di una incomunicabilità e di una aulica ricercatezza del linguaggio agli albori di un politichese privo di senso. È lo sberleffo al potere uguale a contrario alle parole del futuro Marchese del Grillo (Io so io e voi non siete un cazzo…). E qui ci sarebbe da riflettere sulla figura di Mario Monicelli e sulla sua opinione del potere. Nessuno direbbe di Monicelli che sia stato un regista militante e infatti non lo era, ma il suo cinema è intriso di quella irriverenza, tutta toscana, nei confronti di ogni classe dominante.

Amici miei

Amici miei

Film unico, quindi, che segna a tutto concedere un’ennesima variazione sul tema della commedia, prologo amaro all’ancora più amara deriva pessimista di Monicelli di quegli anni ’70, che travasava nella satira grottesca o nella cupezza del racconto il grigiore di un’Italia conflittuale (Signore e signori buonanotte è del 1976 e Un borghese piccolo piccolo del 1977). Negli anni ‘80 la vena monicelliana avrebbe invertito la rotta e se il sapore amaro delle sue commedie predominava ancora, si stemperava in un agrodolce più congeniale alla nostra tradizione (un titolo per tutti, per restare in tema, il secondo Amici miei del 1982 più sbilanciato verso una tradizione picaresca propria di Monicelli).
Il film oggi, dopo quarant’anni, torna in sala per una breve apparizione nella sua edizione restaurata e insieme alla memoria del film speriamo non si perda mai quella del cinema di Monicelli la cui eredità oggi è forse tra le poche ancora vive, in quel cinema che non si commisera, ma che guarda con spietata franchezza alla realtà italiana, cogliendone vizi e virtù, nell’amore per i suoi personaggi, anche i più spregiudicati, senza moralismi e senza speranze.

 

 

Regia: Mario Monicelli

Interpreti: Ugo Tognazzi, Gastone Moschin, Philippe Noiret, Duilio Del Prete, Adolfo Celi, Bernard Blier, Silvia Dionisio, Milena Vukotic, Angela Goodwin

Distribuzione: Filmauro

Durata: 140′

Origine: Italia 1975

 

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