Alice in Wonderland, di Tim Burton

Il cinema di Burton rimette coraggiosamente in gioco il proprio sguardo in un’opera straordinariamente sperimentale nella quale rivisita i fantasmi passati in un sogno lunghissimo e fluttuante.

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Ritorna direttamente dall’aldilà il cinema di Tim Burton. Depurato dal barocchismo di La fabbrica di cioccolato o da quella riconoscibile stanchezza autoriale di Sweeney Todd. Sfugge il buio come la morte Alice in Wonderland e va continuamente alla ricerca di una luce e un passato perduti. Dentro ci sono i romanzi di Lewis Carroll (Alice nel paese delle meraviglie ma anche Attraverso lo specchio) e il suo immaginario che si contaminano con l’universo gotico e dark del cineasta. Ci si trova in una ricostruzione d’epoca, con frammenti dello Spike Jonze di Nel paese delle creature selvagge e una dimensione fantasy/live-action alla ricerca di un proprio equilibrio. Da questo punto di vista l’ultimo lavoro di Burton è straordinariamente sperimentale e, coraggiosamente, rimette in gioco uno sguardo che sembrava essersi solidificato.
Alice Kingsley, nel corso di una festa di fidanzamento, segue un coniglio e si ritrova nel mondo incantato già visto quando era bambina. Lì si trovano anche Pinco Panco e Panco Pinco, Toperchio, il Brucaliffo, lo Stregatto e il Cappellaio Matto portato sullo schermo da Johnny Depp, quasi un misto tra Pee-Wee ed Edward mani di forbice. Attraverso questo viaggio nel passato Burton rivisita i fantasmi del proprio cinema, quelli che più gli appartengono (la figura della Strega Rossa di Helena Bonham Carter e il suo opposto, la Regina Bianca di Anne Hathaway che forse è quella purezza sinistra a cui vuole in parte aspirare), quelli che attendono di prendere forma e vita quasi provenienti da The Nightmare Before Christmas, ma anche quelli mai posseduti. Il movimento ondivago della festa di fidanzamento segue il flusso di Schnitzler e l’andamento funereo del ballo di Eyes Wide Shut, mentre Alice nel mondo incantato è forse il viaggio personale dentro il buio/cinema in cui la visione e la memoria diventano elementi coincidenti. Stavolta Burton si getta nel mondo incantato, vive un sogno lunghissimo che non finisce mai come quello del bellissimo e inimitabile Big Fish, si getta nelle zone oscure della fiaba nera forse con in modo stridente ma comunque curioso nella sua anomalia (lo spettro della morte nella scena di Alice che cammina sulle teste dei cadaveri) e soprattutto ri/trova un’ironia che si era affacciata a ondate irregolari nella sua filmografia.
Gioca con i fantasmi Burton, e lo fa attraverso contrapposizioni di apparizioni/sparizioni, di ipotesi di vite straordinarie mai vissute, di effetti di prestigio (potenziati ma non valorizzati dal 3D) come la scena dell’esecuzione del Cappellaio Matto. Con Alice in Wonderland va alla ricerca di Méliès con i colori di Walt Disney, vuole ritrovare le traiettorie a lui congeniali ma ha il desiderio di infrangerle e far muovere i personaggi in un ballo infinito che viene finalmente esplicitato dalla folle deliranza finale del Cappellaio. Dalla morte dopo la vita (e quindi dell’aldilà) di Big Fish alla vita dopo la morte di Alice in Wonderland. Il cerchio non si chiude ma si riapre. E da qui riparte Burton. Con finalmente addosso un’altra giovinezza.
Titolo originale: id.
Regia: Tim Burton
Interpreti: Mia Wasikowska, Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Anne Hathaway, Alan Rickman, Michael Sheen
Distribuzione: Walt Disney Italia
Durata: 108′
Origine: USA, 2009
La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.9

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3 (1 voto)
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