Imprigionato dentro la propria età – Jack Nicholson

Anche "A proposito di Schmidt" di Payne conferma come l'invecchiamento sia una costante tematica degli ultimi film di Nicholson, coerente con la maschera che l'attore ha portato sugli schermi nel corso di una lunga e prestigiosa carriera.

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Forse, per cercar di individuare alcune tracce critiche non battute, deve partire dal fondo. Dalla fine di una carriera sterminata e sempre al centro dello star system, che parte dai primi b-movie, di Roger Corman e non solo, sul finire degli anni 50 alle ultime, centellinate apparizioni. Partire dalla fine è utile per uscire dalla semplice cronologia, per cercare di definire la mutazione del personaggio Nicholson. Gli ultimi film che vedono Jack Nicholson protagonista, soprattutto il recentissimo A proposito di Schmidt di Alexander Payne e La Promessa di Sean Penn, sebbene diversissimi, possono essere raggruppati secondo una costante tematica, quella dell'invecchiamento. La decadenza di un volto, di un'icona mitologica, un Jack Torrance scongelato tranquillizzato e che fa i conti con la propria età e i segni che la suggeriscono. Nel film di Penn, Nicholson e il regista aggiungono questa dimensione tematica: nell'omonimo libro di Durrenmatt, da cui il film è tratto, il protagonista Matthai non sta andando in pensione ma per essere promosso. Se la crisi della ragione della mystery classica, fatta di inferenze che legano indizi e verità, nel romanzo è messa in crisi come razionalità astratta propria di un genere letterario, il poliziesco, nel film è la ragione incarnata in Jack Nicholson ad essere messa in crisi. La capacità di vivere, di comportarsi e di ragionare in situazioni che sovrastano le abilità fisiche e psichiche è il centro della pellicola di Sean Penn.

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Lo stesso tema è sviscerato in About Schmidt, Jack Nicholson si esibisce come attore imprigionato in una serie di avventure determinate dal suo non poter essere giovane e il dover affrontare situazioni canoniche e non solo per la propria impotenza. Per rimanere alla filmografia di Nicholson dell'ultima parte degli anni anche in Qualcosa è cambiato, film per cui Nicholson ha vinto il suo terzo Oscar come interprete, dopo il capolavoro di Forman Qualcuno volò sul nido del cuculo e Voglia di tenerezza, la vecchiaia, la malattia e il non essere dentro al mondo sono esposti in modo non diretto ma con un peso decisivo all'interno dell'equilibrio dei film.

Questa non vuole essere solo una disamina delle ultime prove di Jack Nicholson come interpretem, ma anche un motivo di comparazione con il percorso professionale di alcune altre icone del cinema americano degli anni 70. La sua formazione, non solo per una coincidenza temporale, lo fa essere icona di quella che è chiamata la controcultura americana di fine anni Sessanta e inizio Settanta. Nicholson stesso dice "l'assenza di limiti è quello che mi ha motivato. Non ho mai voluto limitarmi a quello che gli altri definivano le condizione o le norme per vivere… è cercare la propria verità e fregarsene di quello che gli altri pensano." Infatti, dopo essersi formato con ruoli più o meno di spicco nei film girati o prodotti dal suo amico Roger Corman, svariando dall'horror de La piccola bottega degli orrori al gangster movie di Il massacro del giorno di San Valentino, il suo imporsi alla ribalta è piuttosto legato a film che hanno "fatto epoca." Si pensa soprattutto a Easy Rider di Dennis Hopper, in cui era l'avvocato alcolizzato e violento, ma non solo. Anche Cinque pezzi facili di Bob Rafelson oppure L'ultima corvée di Hal Ashby, Chinatown di Roman Polanski contribuiscono a costruire una maschera da antieroe, personaggi insofferenti a regole e a limitazioni. A questo si aggiunge la sua interpretazione sovente sopra le righe: luogo comune vuole che per Nicholson si usi il termine istrione, anzi egli è addirittura passato a divenire esempio di istrionismo recitativo. Anche se forse altri attori appartengono a maggior titolo alla categoria di istrione, ciò che conta è che, nella percezione comune, Jack Nicholson sia diventato maschera dell'essere al di fuori dai limiti. Due film, distanti un decennio, sono l'apice di questa trasformazione e accettazione di Nicholson come icona di un atteggiamento del volto: Shining, di Stanley Kubrick, ma soprattutto Batman di Tim Burton, in cui si ha la vera e propria figurativizzazione dello stereotipo che avvolge l'interprete Nicholson.

Fino a qui non si dice niente di nuovo, anche se Nicholson ha dato prova in altri film di avere una capacità interpretativa a più ampio raggio, e in altri di avere la forza e l'ironia di fare la maniera di se stesso (il demonio cialtrone e gozzovigliatore di Le streghe di Eastwick, su tutti). Forse è comparare l'evoluzione di Jack Nicholson con quella di altri attori più o meno coetanei ad aprire forse spiragli critici più interessanti. Per esempio Al Pacino, che però non rinuncia mai ad entrare nel suo personaggio, a farlo vivere dimenticando di essere Pacino (si vedano Insomnia di Christopher Nolan e Insider di Michael Mann). Egli, come lo stesso De Niro, sembra fare i conti con la loro capacità mimica e mimetica, di poter ingrassare per essere Jake la Motta per due ore e poi tornare ad essere "normale". Nicholson, invece, pare mettere in scena la propria presenza fisica, fuori dalla propria immagine stereotipa, accordando i movimenti narrativi alle tendenze del suo corpo. Il parallelo sembra emergere piano piano, forse indebito, sicuramente con le differenze che legano un realizzatore di film da un semplice interprete: Clint Eastwood. Se a Dirty Harry viene un infarto nell'inseguire un criminale come nell'ultimo Debito di sangue, la follia di Jack Torrance non è più quella suscitata dall'Overlook Hotel ma quella che emerge dalle proprie viscere e dalle proprie ossessioni. Nicholson e Eastwood sembrano dominati dalla propria maschera, nel seguire i suoi cambiamenti e le linee che essa suggerisce: una faccia, una personalità, un modo d'essere che si modificano non secondo la volontà ma secondo il tempo che scorre.

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