Juno Temple: Wild Cinderella

Juno Temple: Wild Cinderella
Disinibita ma angelica, carnale ma astratta come un avatar o la Campanellino di Peter Pan, Juno Violet Temple è una giovane attrice a suo agio in esordi indipendenti e ruoli provocatori, ma gestiti con mestiere. Britannica che ha trovato la perfetta incarnazione nella Dottie di Killer Joe, una Cenerentola ammaccata profondamente americana

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Juno Temple: Wild CinderellaLa Dottie di Killer Joe è una narratrice, un filtro. È attraverso il suo sguardo, che sopraffatto dalla realtà oggettiva trova da qualche parte una sua purezza svampita, che assistiamo con colpevole godimento a questo squarcio di psicosi familiare, tanto più cupo quanto più intriso di umorismo.

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Anche se vive di televisione (non storie d'amore, ma il kung-fu di Bruce Lee) sognando sfrenatamente e quasi evaporando in una nuvola di bionda innocenza infantile, la sua è una vecchissima tristezza (non troppo diversa, in questo, dalla Jeliza-Rose di Tideland).
Come una figlia del sud con una coroncina di cartone, una (Shirley) Temple cresciuta e ammaccata, Dottie ha passato la vita a osservare senza giudicare, a ascoltare gli orribili scontri tra gli "adulti" contro le pareti inesistenti della roulotte, e come Roadrunner l'uccello del deserto, il suo eroe dei cartoni preferito, che riesce a sfuggire a Wile E. Coyote solo per velocità e astuzia, Dottie è sopravvissuta: finora. "Una versione perversa di Cenerentola", dice William Friedkin – pinza nei capelli, vecchie tute, vagabonda scalza in camicia da notte, sonnambula – perduta in una moderna, oscura Spoon River. La perfetta incarnazione di questo sonnambulismo che è anche il film stesso: in cui ciascuno vede tutto, sa tutto, accetta tutto, ma a volte finge di dormire.

Benchè britannica, questa giovane attrice ha reso splendidamente un personaggio profondamente americano, le cui radici vanno cercate in un southern gothic reinventato, quello di Philip Ridley di Riflessi sulla pelle e degli strazianti racconti di L'angelo sul tetto di Russell Banks; quello che si immagina a margine dei quadri di Andrew Wyeth. Juno Temple è Dottie in KILLER JOE di William Friedkin
Da qui – e dalla tradizione letteraria che cercando il nero nei campi e nelle città, fa capo a Tennessee Williams, William Faulkner, Jim Thompson – il geniale autore della pièce da cui è tratto Killer Joe, Tracy Letts, ha partorito un'epopea (ambientata in Texas e spostata a New Orleans nel film) che solo a uno sguardo superficiale può sembrare esclusivamente materia da black comedy: come leggendo il capolavoro di  di Cormac McCarthy Suttree, dove una patina di sporco e di miseria incrosta certi passaggi tanto disperati da diventare comici, si ride, ma si ride incapaci di credere ai propri occhi, per la assoluta indifferenza con cui ciascun personaggio si pone difronte ai dilemmi dell'etica, del sangue, dell'umiliazione e della morte stessa, Tranne forse che nell'esplosione finale di Dottie, dove un urlo di ribellione rivolto a tutti, compreso allo psicotico principe azzurro, rompe questa silenziosa routine da sitcom dell'orrore.

Come Dottie, la sua interprete, dietro l'aria svagata e maliziosa, cova carisma e determinazione. Della Juno Violet Temple nata da Amanda e Julien (regista conosciuto per Bullet con Mickey Rourke, Absolute Beginners, per i documentari – Oil City Confidential, Requiem for Detroit, e soprattutto per i suoi lavori sui Sex Pistols e Joe Strummer) si può già dire che l' attitudine punk non è una posa: le sue scelte svelano una predilezione per il cinema indipendente e gli esordi coraggiosi, i ruoli provocatori, ma gestiti con misura e mestiere. Dopo l'esordio in Jean Vigo: Passion for life, del '97, nel 2006 è la figlia di Cate Blanchett in Diario di uno scandalo. In seguito affronta il costume: Espiazione, L'altra donna del re, ultimamente I Tre moschettieri) e la commedia, sia dolce che amara (Anno uno di Ramis, Greenberg di Baumbach. Nel 2009 è una delle inquiete collegiali, più ninfe di Hanging Rock che vergini suicide, di Cracks, debutto alla regia di Jordan Scott, figlia di Ridley.

Juno TempleMa le sue performance migliori restano quelle in cui può esprimere il passaggio tra infanzia e maturità, ruoli che testimoniano come sia affrettato imprigionarla nella caricatura dell'ennesima Lolita postmoderna (un percorso che in Europa ha fatto prima di lei Ludivine Sagnier): è stata l'intensa quindicenne Anna (da adulta interpretata da Diane Kruger) simbolo dell'amore eterno nel vertiginoso Mr Nobody (2009) di Jaco Van Dormael, e la teenager proletaria di Little Birds (2011) esordio alla regia di Elgin James, musicista hardcore punk non estraneo alla prigione.

Nel 2010 Juno entra nell'indefinibile, immaginifico universo di uno dei più grandi cantori dell'adolescenza degli ultimi 30 anni: l'indipendente Gregg Araki, in Kaboom: "né thriller, né Science-Fiction, né commedia demenziale, né horror, eppure tutte queste cose insieme". Sfumature, mondi paralleli, più che generi, che, come il film, la Temple riesce a far convivere. La sua London è un insieme delle caratteristiche dell'attrice, una figura imprevedibile, disinibita ma anche angelica, carnale e capace di volgarità, ma astratta come un avatar o la Campanellino di Peter Pan: per il protagonista gay, Smith, è una specie di epifania non tanto sessuale quanto proprio allucinatoria, come se fosse lei stessa una droga psicotropa.

Sostituisce poi Ellen Page (di due anni più grande, altra giovane attrice dotata di personalità) in una storia originale: Jack & Diane (2012) dell'indipendente Bradley Rust Gray, dove vive con un'altra ragazza l'esperienza del primo amore, tra le animazioni e gli effetti dei fratelli Quay e di Gabe Bartalos, fino a attraversare una mutazione dolorosa e surreale, come gli adolescenti di Black Hole.

A sfruttare la sensualità ribelle di Juno sono stati soprattutto Rob Epstein e Jeffrey Friedman, che l'hanno voluta in Lovelace (2012) e l'esordiente Abe Sylvia (Dirty Girl, 2011). Per ora, tra i suoi progetti futuri c'è un equilibrio interessante tra commedia, thriller, road movie (Small Apartments di Jonas Åkerlund e Wild Side di Jesse Juno TempleBaget, dove è ancora una principessa malandata: una reginetta di bellezza in fuga da un killer) dramma (Truck Stop di Tony Aloupis, dove sarà la prostituta dal cuore d'oro, migliore improbabile amica di un ragazzo gravemente malato, accanto a un'altra giovane diva in ascesa, Jennifer Lawrence; Afternoon Delight, esordio di Jill Soloway, produttrice di Six Feet Under e Grey Anatomy tra le altre serie) fantasy (Horns di Alexandre Aja) anche mescolato con la satira e la crisi economica, in un altro esordio indipendente (The Brass Teapot di Ramaa Mosley).

Sarà poi l'eroina di un'isola chiamata Destino, abitata da persone bizzarre, in M di David Michaels. Speriamo che la Temple – ultimamente corteggiata da produzioni più grandi, come The Dark Knight Rises di Christopher Nolan; fatina in Maleficent, fiaba dark firmata Disney – continui a fare delle scelte audaci.

Uno dei titoli più allettanti, in cui potremo seguire la sua evoluzione, è certamente Magic Magic di Sebastián Silva, regista di La nana, in cui troviamo anche Michael Cera, la brava Catalina Sandino Moreno di Maria Full of Grace e L'amore giovane e Emily Browning (stessa età della Temple, come di Mia Wasikowska, e forse attrice sopravvalutata rispetto alle due coetanee e già superata dal talento di una generazione successiva, quella della Chloë Grace Moretz di Texas Killing Fields).
Un horror psicologico in cui Juno si misura con il ritratto di Alicia, forse schizofrenica, che durante un viaggio in Cile perde i compagni di avventura e il controllo di sè. Un'altra selvaggia Cenerentola, in viaggio dalla sua baracca a una terra straniera, dove il continente estraneo è la sua stessa mente, alle prese con una realtà complessa.

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