Hilary Swank, the 3000 $ baby

Per “Boys don't cry” guadagnò 75 dollari al giorno, 3000 in totale. Vinse l'Oscar, ma non poteva permettersi l'assicurazione sanitaria. Oggi il sorriso disarmante e lo sguardo mite della Swank hanno ispirato Clint Eastwood che, emozionato dalla prova di sensibilità che scaturisce dalle sue interpretazioni, ne ha fatto “il suo tesoro, il suo sangue”.

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"Sai che sei nelle mani di un mito che si è messo alla prova in continuazione, per cui non fai domande. Credi in tutto ciò che dice. E' sicuro di sé e sa cosa vuole, ma non in maniera arrogante. Non hai mai l'impressione che ti stia imponendo le sue decisioni." Ecco cosa pensa Hilary Swank di Clint Eastwood. O forse è l'opinione che Maggie Fitzgerald, la protagonista di The Million Dollar Baby, ha del suo allenatore Frankie Dunn?
Maggie permea la Swank capillarmente. L'adesione al personaggio è totale; lo dimostrano gli sguardi, lo dimostrano i sorrisi, osservati da Eastwood con timidi primi piani. Eastwood ha capito di cosa quella ragazza fosse capace; le mancavano una decina di chili di muscoli e la capacità di stare sul ring, e sarebbe stata Maggie. E Hilary non ci ha pensato sopra due volte. Lavorare con Clint Eastwood, interpretare una ragazza che raggiunge l'obiettivo di una vita, è stato per l'attrice dell'East Coast la realizzazione di un sogno. Più di quanto potesse esserlo vincere un Oscar.
Hilary Swank aveva poco più di quindici anni quando scelse, una volta per tutte, di diventare un'attrice. Per cui addio alla scuola, basta con le vittoriose gare di nuoto e di ginnastica che l'avevano portata, ancora bambina, ad avere i primi momenti di gloria. Sua madre sapeva capirla, e non ebbe esitazioni nel partire con lei e trasferirsi nelle vicinanze di Hollywood: "Se deve essere un'attrice del cinema, Hollywood è l'unico posto in cui mia figlia deve vivere". D'altra parte, rimanere nel sobborgo di Bellingham, vicino Washington, e continuare a vivere in una roulotte, non era un'alternativa particolarmente attraente.

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Neanche i primi tempi a Los Angeles furono eccessivamente entusiasmanti. Partite con pochi dollari in tasca, madre e figlia trascorsero un paio di settimane facendo della loro automobile la nuova casa. Poi approfittarono dell'ospitalità notturna di un conoscente: passarono decine di notti nel suo appartamento vuoto – era in vendita – liberandolo al mattino presto per consentire le visite di potenziali compratori. Poi, finalmente, arrivarono i primi ingaggi, in telefilm (ABC TGIF, con Patrick Duffy e Tim Allen; Evening Shade, con Burt Reynolds) e film per ragazzi (Buffy, l'ammazza vampiri, con Kristy Swanson e Donald Sutherland). Finché Hilary giunse a festeggiare il ventesimo compleanno col film che l'avrebbe fatta conoscere finalmente ad un pubblico più vasto: il quarto episodio della serie Karate Kid. Era il 1994: la Swank cambiava genere al "Kid", sostituendosi a Ralph Macchio, ed interpretava per la prima volta un ruolo di ragazza dalla personalità sofferta. Sarebbero passati solo cinque anni, e la ragazza che una volta viveva in una casa mobile avrebbe vinto l'Oscar (oltre ad un'altra ventina di premi racimolati in giro per il mondo) come miglior attrice protagonista, per Boys don't cry.
Ma prima avrebbe avuto il tempo di partecipare ad un horror (A volte ritornano ancora) e di farsi licenziare dal set di Beverly Hills, 90210, forse troppo glamour per un'attrice dallo spiccato understatement. Quindi, nel 1998, di recitare accanto a Jason Robards nell'inosservato Il cuore della foresta. E finalmente, nel 1999, giunse il ruolo che le sarebbe valso una vita intera: l'interpretazione della storia realmente accaduta a Teena Renee Brandon – o Brandon Teena, come preferiva farsi chiamare lo sfortunato ventunenne, rinchiuso in un corpo di donna, che pagò con la vita il suo mescolamento di generi, troppo indigesto per una società retriva come quella della provincia americana. La Swank aveva voluto fortemente quella parte, rifiutata da tante altre attrici; tanto da mentire alla regista Kimberly Peirce, facendole credere di avere la stessa età del personaggio (anziché dichiarare i suoi venticinque anni) e di provenire, come lui, da Lincoln, Nebraska. Quando, in seguito, la Peirce scoprì l'inganno, la Swank disse semplicemente "E' ciò che avrebbe detto Brandon"…

Per Boys don't cry Hilary guadagnò l'Oscar. Il ruolo di Brandon le era valso un compenso di 75 dollari al giorno, 3000 dollari in totale: era un'attrice in cima alla vetta, e non guadagnava ancora abbastanza da permettersi un'assicurazione sanitaria. Ma era il coronamento di un sogno, il mondo si era accorto di lei: ora le buone occasioni di lavoro si sarebbero moltiplicate, e il ricordo delle notti passate in macchina sarebbe sbiadito. Almeno, questa era la sua speranza. La realtà le rivelò invece come i ruoli interessanti, specialmente per le attrici, fossero molto pochi.
L'anno successivo la Swank fu la protagonista di un corto diretto da suo marito, l'attore Chad Lowe (fratello di Rob) sposato tre anni prima, e sempre al 2000 risale la sua partecipazione al film di Raimi The Gift, guidato da Cate Blanchett, in cui interpreta la moglie di un Keanu Reeves retrogrado e violento. Sorvolando sulla connessione inverosimile, realizzatasi nel successivo L'intrigo della collana, tra la Swank e il ruolo di aristocratica in rovina che reclama i propri titoli nella Francia pre-rivoluzionaria, è Christopher Nolan in Insomnia che permette all'attrice di dimostrare ancora il suo valore, nonostante il ruolo collaterale di poliziotta di provincia a caccia delle ossessioni di un tormentato Al Pacino. Dopo questa esperienza formativa al fianco di un'apostolo dell'Actor's Studio, per la Swank si prospettano un'altro corto diretto da Lowe, quindi un ruolo incolore di pilota in The Core di Jon Amiel (2003), poi l'indipendente Ore 11:14 – Destino fatale, dove recita nella parte della commessa notturna di un negozio, coinvolta – assieme agli altri personaggi del film – in una serie di avvenimenti concatenati che culminano nell'ora fatale. Manca poco ormai all'incontro con Clint Eastwood, l'icona per la quale avrebbe accettato di allenarsi quattro ore al giorno, sei giorni a settimana per tre mesi, di mettere su dieci chili di muscoli nutrendosi perfino a notte fonda, di farsi venire una grave infezione da streptococco a causa di un'enorme vescica ad un piede. E' il 2004, e la Swank interpreta il ruolo di un'avvocato sudafricano difensore di un attivista anti-apartheid in Red Dust (ancora inedito in Italia).

Finché arriva l'incontro con Maggie Fitzgerald. "Maggie era cresciuta povera, vivendo in un campo per roulotte. Io sono cresciuta povera in un campo per roulotte. Maggie aveva un sogno. Io avevo un sogno. Maggie è disciplinata, concentrata, fortunata. Tutte cose che valgono anche per me." Maggie è Hilary, Hilary è Maggie. Ad Eastwood bastava che la ragazza tirasse fuori i muscoli e sapesse muoversi sul ring: sono stati sufficienti tre mesi, per quest'attrice volitiva il cui metodo di recitazione è basato sull'osservazione della gente comune. "Mi ricordo da McDonald's, il modo in cui fissavo un tizio qualunque, mentre mangiava un panino, contando quante volte lo masticava, come succhiava la sua Coca, come spremeva il ketchup; e mia madre che mi sgridava: 'Smettila di fissare la gente!'". Ancora oggi la Swank, cittadina di New York – il teatro la affascina ancora, come da piccola a scuola, quando esordì nella sua primissima interpretazione, il Mowgli de Il Libro della Giungla – prende abitualmente la metropolitana, e sfrutta i tragitti per studiare il comportamento delle persone: "quello è annoiato, quello è soddisfatto, quello è preoccupato". E' un premio Oscar, ma continua a mettersi in gioco. Ha raggiunto il suo sogno, ma continua a sognare. Le piace prendersi dei rischi: anche nella vita sociale, assumendo il ruolo di portavoce dell'Hetrick-Martin Institute/Harvey Milk High School, un'istituto che si occupa di creare un ambiente sicuro in cui i giovani, a prescindere dalle loro identità ed orientamenti sessuali, possano sviluppare le proprie potenzialità. Perché "interpretando Brandon ho cercato l'umanità che trascende il genere: non era una sessualità che stavo mettendo in scena, ma qualcosa di più profondo, una qualità che appartiene a tutti gli umani". Così come, in The Million Dollar Baby, non è di boxe che parla Maggie, ma di umanità. Proprio "il tesoro, il sangue" di Clint, questa Hilary.

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