52.ma BERLINALE: Kim Ki-Duk: la traccia dei fantasmi (Bad Guy – Na-Bbun-Nam-Ja)

L’ultimo colpo del festival berlinese è “Bad Guy”, capolavoro del regista coreano, mentre l'Orso d'Oro viene assegnato ex aequo al cartoon giapponese "Spirited Away" di Hayao Miyazaki e al film anglo-irlandese "Bloody Sunday" di Paul Greengrass

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BERLINO – E’ la traccia dei fantasmi, quella da seguire in questa 52.ma Berlinale per scoprire i capolavori. La scia di mondi a parte, popolati di ombre e spiriti, scritti nella trasparenza di realtà sopite ma pulsanti di vita: prima “Spirited Away” di Hayao Miyazaki, poi “Lundi matin” di Otar Iosseliani, ora “Bad Guy” (Na-Bbun-Nam-Ja), nuovo straordinario film del “cattivo ragazzo” coreano Kim Ki-Duk, al momento il suo capolavoro ci sembra, altro film di fantasmi che tagliano la vita, per l’appunto, altro film di irrealtà che svelano ai viventi la verità dei sentimenti, la forza degli eventi, il potere delle emozioni, il valore degli atti…
Il regista di “Seom” (L’isola) e “Address Unknown” (visti rispettivamente a Venezia 2000 e 2001, dove hanno lasciato il segno) non smentisce il suo cinema fatto di atti assoluti ma anche astratti, di gesti fuori schema che fendono lo sguardo e la sensibilitä come pennellate sulla tela dello schermo. Qui d’altronde sviluppa ulteriormente quella vena melodrammatica che strisciava nei suoi precedenti lavori, lasciandola emergere dall’irruenza un po’ attonita e un po’ irreale del suo sguardo. La storia è quella di un uomo che non c’è: scuro di carnagione, capelli cortissimi, una vistosa cicatrice che attraversa il collo e spiega il persistente silenzio che esce dalla sua bocca. A parlare però sono i suoi occhi, truci e dolcissimi, sconvolti un giorno dalla visione di una ragazzina, una studentessa che in un parco attende il suo fidanzato: forse è solo preso dalla sua bellezza, o piuttosto (come capiremo più avanti) vede in lei un ricordo da amare, un fantsma, una reincarnazione. Fatto sta che l’uomo diviene il destino di quella ragazza, la travolge con la disperata necessità del suo amore distante, la fa scivolare in un giro che la porta alla prostituzione: ragazza vetrina in un quartiere di bellezze in mostra controllato da lui…

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Aggrappato all’opprimente potenza di quel sentimento da cui è sopraffatto ma che non riesce a vivere davvero, come tutti i personaggi di Kim Ki-Duk anche quest’uomo vive senza parole il suo amore per la ragazza, spiandola e proteggendola da lontano, nero angelo custode, osservandola dall’oscurità di uno specchio segreto mentre nella sua stanza vive e si offre ai clienti, ormai prigioniera del suo destino, incapace di andarsene, di liberarsi… Sino all’eterno finale, spinto oltre la vita e la morte, gettato nell’infinito luogo dell’esistere di questi due corpi/fantasmi (ma lo sono sempre stati, sin dall’inizio, bisognava solo imparare a guardarli…) trasparenti nei loro ruoli di puttana e protettore. Perché l’amore mangia l’anima – e anche i corpi; e il cinema libera la testa – e anche i fantasmi… Fassbinderianamente, appunto… Perché – sarà forse una suggestione berlinese… -, ma se un regista europeo ci viene in mente pensando a Kim Ki-Duk, questi è proprio Fassbinder, col quale condivide la sopraffazione implosiva della passione, l’irruenza ideale agita sui corpi, la visceralità sentimentale esperita nell’anima, il rifiuto ideologico di qualsiasi concetto di società…
Prolifico ai limiti del febbrile (altro tratto fassbinderiano…), con “Bad Guy” Kim Ki-Duk ha finalmente trovato il successo commerciale anche in patria, e magari riuscirà finalmente a trovare uno sbocco sul mercato italiano: dal Mercato berlinese ci dicono che i contatti per l’acquisizione nel nostro paese ci siano… Buon segno per un regista che, all’avanguardia in quella new wave coreana alla quale resta pure così estraneo, rischiava di venire tagliato fuori. Il suo cinema appartiene alla categoria del “necessario”, è una questione di densità delle passioni, di esposizione del suo sguardo al sangue grumito sulle ferite dell’anima… Kim Ki-Duk trasuda d’immagini che vanno troppo a fondo, non conosce pace, anche se staziona immoto come l’acqua stagnante: ogni suo film ha un ritmo diverso, concentrico e implosivo “Seom”, rabbioso e disperato “Address Unknown”, malinconico e terminale questo “Bad Guy”.
Un melodramma tagliente e profondo, scritto dove non c’è carne ma solo spirito, sul desiderio della trasparenza. Forse proprio su quella spiaggia in cui si scolora la sequenza più bella del film, quando l’uomo e la ragazza finalmente si abbracciano mentre l’ombra di un’altra ragazza, vestita di rosso, se ne va in mare, lenta e mesta, dopo aver nascosto sotto la sabbia i frammenti di due foto strappate… Ad accompagnare le immagini è una canzone, uno stupendo brano di una cantante italiana: “I tuoi fiori” di Etta Scollo. Anche questa, come Kim Ki-Duk, un’artista tutta da scoprire.

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