"Imago Mortis" – Incontro con Stefano Bessoni. VIDEO

Il tentativo di Stefano Bessoni è quello di dare nuova vita, in Italia, al genere fantastico – horror, prendendo come modello i lavori di alcuni registi spagnoli tra cui Del Toro, Amenàbar e Balaguerò. Senza dimenticare però la grande tradizione italiana.

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Come si è svolto il lavoro sulla sceneggiatura?

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Stefano Bessoni – La gestazione del film e soprattutto la sua scrittura sono state lunghissime. Nel cercare di mettere in piedi il progetto si sono avvicendate tante figure e tanti sceneggiatori tra cui Richard Stanley. La sceneggiatura è stata riscritta più di trenta volte e quella che è nel film e rispecchia quello che volevamo fare è stata scritta con Luis Berdejo.

Il film è pieno di citazioni e di riferimenti, ce ne può parlare?

SB – Molti sono i riferimenti al cinema espressionista che è un passaggio obbligato per i registi che si occupano di film di genere, infatti il cinema fantastico e horror partono proprio da quel movimento. Però mi appoggerei anche al cinema di questi ultimi anni, specialmente alla scena spagnola, i film di Amenàbar e Balaguerò e anche ad alcune cose realizzate in Francia. Senza dimenticare quello che è stato il nostro patrimonio nazionale del cinema di genere, che non cito direttamente, ma che ho nel sangue, infatti sin da piccolo ho visto i film di Bava e Freda, che mi hanno molto colpito, insieme poi a Dario Argento e Pupi Avati.

Cosa si aspetta dall’uscita di Imago Mortis?

SB – Quello che sto tentando di fare con questo mio primo film è di creare un genere che possa andare in Italia così come è successo in Spagna in maniera molto ampia.

Nel film un ruolo centrale lo ha un oggetto misterioso e affascinante: il Thanatoscopio. Quanto c’è di vero e quanto di inventato nella creazione di questo apparecchio?

SB – Ci sono delle pubblicazioni che affermano che negli anni sessanta e settanta uno scienziato tedesco e uno americano sono riusciti ad isolare delle immagini dalla retina di alcuni topi da laboratorio, con attrezzature molto più grandi rispetto a quella mostrata nel film. Quindi ipotizzare una tecnica del genere nel ‘600 è naturalmente una invenzione assoluta, però la cosa interessante è che proprio nel ‘600 Kircher, sulla base di studi ancora più antichi, arrivò a dei primi manufatti che anticipavano di circa tre secoli l’invenzione della fotografia.

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