Il capitale umano, di Paolo Virzì

Il capitale umano

Adattando il romanzo omonimo di Stephen Amidon, tra finanza tossica e risvolti noir, Paolo Virzì s’incunea nelle mille sfumature di nero della ricchissima borghesia italiana in tempo di “crisi”. Il regista livornese maneggia generi e stilemi classici con una padronanza registica ormai collaudata e – seppur con qualche evitabile meccanicità – vince la sua scommessa più ambiziosa

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Il capitale umanoNell’epoca dell’economia post-industriale e della moneta virtuale, il capitale umano è ridotto a un freddo dato numerico: vita, lavoro, famiglia, passioni di un individuo espressi da un semplice calcolo matematico appannaggio di un qualsiasi agente assicurativo. Tutto il resto è solo un intricato antefatto che interessa al massimo gli scrittori (o i cineasti…). Questo è lo spunto dell’omonimo romanzo americano di Stephen Amidon che Paolo Virzì ha testardamente voluto adattare in Italia, spostando felicemente le ambientazioni dal Connecticut alla Brianza. Gli echi sulla stretta contemporaneità si sprecano: Giovanni Bernaschi (Fabrizio Gifuni) è un mogul della finanza tossica che si arricchisce con spietate speculazioni di borsa e arriva a coinvolgere in un “miracoloso fondo” anche Dino (uno straordinario e viscidamente mostruoso Fabrizio Bentivoglio), il padre della ragazza di suo figlio, piccolo immobiliarista con il sogno del grande “colpo”. La rete si espande all’amore ormai al tramonto dei due giovani rampolli (Massimiliano e Serena) e alla realtà speculare delle due mogli: Carla (Valeria Bruni Tedeschi) ex attrice annoiata e depressa che coltiva il sogno di far “rivivere” un teatro; e Roberta (Valeria Golino) equilibrata psicoanalista con in cura un ragazzo problematico che conquisterà il cuore di Serena. Un fitto mosaico di esistenze incrociate in cui il destino (o la mano dello scrittore) instilla l’elemento scatenante del dramma/noir: un incidente, una notte, un ignaro ciclista coinvolto, una tragedia. Chi guidava quell’auto?

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Il capitale umanoIl film di Paolo Virzì ricostruisce pazientemente le vite di questi “smisuratamente normalicharachters, utilizzando la vecchia cara tecnica della suddivisione in capitoli: tornando indietro nel tempo ogni volta, riproponendo i fatti secondo tre punti di vista diversi (Dino, Carla, Serena) e disegnando così le mille sfumature di nero intraviste nel dietro le quinte della ricchissima borghesia italiana. Virzì maneggia convenzioni e stilemi classici con una padronanza registica ormai collaudata, attuando una radicale contaminazione di genere ai suoi tradizionali umori – rimane impressa la sequenza del banchetto con il potenziale CDA del teatro, girata come i nuovi mostri della “odierna” commedia all’italiana – e tirando in ballo una serie di atmosfere familiari per lo spettatore smaliziato: ovviamente il noir classico americano (con certe derive postmoderne in stile fratelli Coen o Sam Mendes); ma anche il palese riferimento al nero francese, dal Maestro Chabrol sino al Truffaut de La Calda Amante (con tanto di poster del film esposto nella cameretta di Serena). Il regista livornese punta in alto e non sfigura, fa detonare il suo film dall’evento scatenante dell’incidente posto sui titoli di testa (una sequenza girata magnificamente, tesa e cruda, che dà subito il giusto tono al film) e pian piano s’incunea nelle vite di questi individui posti di fronte alle fatali scelte di una notte. Il backstage della crisi economica che ci sta divorando è presentato come uno squallido teatrino di pupi: il letterale riferimento al teatro diroccato che non riesce a riaprire nemmeno con gli scampoli di passione della svogliata Carla – farsesca e a suo modo coraggiosa la sequenza del rapporto sessuale troncato tra Lo Cascio e Bruni Tedeschi mentre guardano Nostra Signora dei Turchi di Carmelo Bene, “ti perdono, ti perdono, ti perdono…” – getta una luce perversa sui legami Finanza-Cultura che scavalcano di netto una Politica ormai debolissima.

Ecco è forse in questo suo manifesto impeto etico che il film cede qualcosa in tensione e interesse, segnando l’unico vero punto debole dell’operazione. La frase “avete scommesso sulla rovina di questo Paese, e avete vinto!” (riportata addirittura nel trailer e pronunciata prosaicamente da Valeria Bruni Tedeschi) dimostra sin troppo chiaramente l’aderenza all’attuale tessuto socioculturale italiano, arrivando paradossalmente a depotenziare certe ambiguità che se lasciate latenti avrebbero inciso maggiormente. È come se sceneggiatori e regista avessero a un certo punto avuto un’intima paura a lasciare lo spettatore “da solo” nel buio delle ambiguità del nostro presente (pensate a William Friedkin come avrebbe trattato oggi questa storia, questi personaggi, queste stesse atmosfere) concedendogli un po’ troppi appigli di salvataggio per pensare/redimersi.
Tuttavia, anche con qualche evitabile “meccanicità”, il film riamane una scommessa vinta per Virzì. La vera migliore offerta della stagione italiana. Il cuore pulsante di ogni singola inquadratura, insomma, resta sempre e comunque il Cinema (con i suoi caldi umori): il capitale umano, in fondo, non è mai solo un numero.


Regia: Paolo Virzì

Interpreti: Fabrizio Bentivoglio, Valeria Bruni Tedeschi, Valeria Golino, Fabrizio Gifuni, Lugi Lo Cascio, Bebo Storti, Matilde Gioli, Giovanni Ansaldo

Origine: Italia 2014

Distribuzione: 01 Distribution

Durata: 109'

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