Nino Manfredi raccontato dal figlio Luca

nino manfredi in pinocchio

"Non sono come Sordi, che ha un talento naturale. Io devo lavorarci". In occasione dell'inaugurazione di una grande rassegna, curata e promossa dalla Cineteca di Bologna, il figlio dell'attore (che lo ho diretto anche nella pubblicità del caffè, la prima seriale della tv italiana), Luca Manfredi lo ricorda cosi'

 

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nino manfredi in pinocchioChissà che cosa significa, avere per padre Nino Manfredi. Uno che, per tanti italiani, è stato uno di famiglia. In tanti si sono rispecchiati nella sua allegra malinconia, nel suo modo di sorridere dicendo qualcosa di triste. O di dire qualcosa di buffo, ma con la faccia seria, quasi sconcertata. Per molti è stato uno di famiglia: ma per lui lo era davvero.

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Luca Manfredi ha visto suo padre a casa, con Monicelli e Risi che suonavano alla porta. E sul set, in quel caos organizzato dove tutto, per magia, diveniva silenzioso e perfetto, e i sentimenti vibravano come note, nell’aria fino a un attimo prima piena di voci, di confusione, di apparente cialtroneria. Lo ha visto a casa, preoccupato prima di un film importante. Lo ha visto vivere i successi e i momenti di tensione, di dubbio, di incertezza. E poi lo ha anche diretto: in un film, e in una serie di spot televisivi divenuti famosi, quelli per il caffè che, se non è buono, che piacere è?

Luca Manfredi, figlio d’arte, regista di cinema e di molte serie televisive, racconta suo padre in occasione dell'inaugurazione di una grande rassegna, curata e promossa dalla Cineteca di Bologna. Mentre la prossima Mostra del cinema di Venezia ospiterà la proiezione della copia restaurata del primo film diretto da Manfredi, L’avventura di un soldato, tratto dal racconto di Italo Calvino.

 

 

Luca, che effetto le fa questa serie di manifestazioni in memoria di suo padre?

Ne sono felice. Perché sono solo dieci anni che mio padre è scomparso. Ma la generazione dei ragazzi nati con Internet già non sa più chi sia stato. E neppure chi siano Mastroianni, Gassman, Sordi, Tognazzi. Il nostro è un paese dalla memoria corta, che non trasmette ai ragazzi la grande eredità culturale che il cinema ci ha lasciato.

 

 

La televisione e la scuola non si occupano del cinema che ci ha reso grandi?

Gli amici di mio figlio Francesco, che ha quattordici anni, non sanno niente di loro. Per non parlare di Chaplin e di Buster Keaton.

 

 

luca manfrediSe dovesse indicare un film di suo padre che le è particolarmente caro, quale sarebbe?

Su tutti, ‘Pane e cioccolata’. Il film di Franco Brusati in cui mio padre interpreta un emigrante in Svizzera. Ci sono, dentro, le radici della nostra famiglia, famiglia di emigranti negli Stati Uniti, da un paesello minuscolo. E poi rientrati, perché mia nonna potesse sposare un ragazzo che nemmeno conosceva…C’è la vita dura di tanti italiani. C’è un misto di commedia e di dramma, momenti comici e struggenti. C’è tanta verità, un ‘come eravamo’ che ancora ci portiamo addosso.

 

 

Come viveva il suo mestiere suo padre?

Mio padre diceva di non avere un grande talento. Ripeteva: ‘Non sono come Sordi, che ha un talento naturale. Io devo lavorarci’. E preparava tutto sempre nei minimi dettagli. Persino quando doveva fare un’ospitata in televisione, raccontare una barzelletta, la provava prima con noi, come su un palcoscenico. Quando diresse il suo primo grande film, Per grazia ricevuta, lo disegnò tutto, prima, inquadratura per inquadratura.

 

 

Ricorda uno di questi momenti di “laboratorio” artigiano?

Quando Comencini lo chiamò per fare Geppetto nel suo Pinocchio, lui era ancora giovane. Se ne stupì. Ma Comencini gli disse: "Lei è l’unico attore capace di parlare con un pezzo di legno". E lui andò nei giardini sotto casa, a studiare gli anziani. Poi vide una bimba parlare con una bambola. E capì che non doveva interpretare un vecchio, ma un uomo ingenuo come un bambino.

 

 

Quali protagonisti del cinema passavano da casa vostra?

Tutti: Monicelli, Risi, Scola, Age e Scarpelli, Benvenuti e De Bernardi. Io mi mettevo in un angolino, e godevo nel vedere questi signori parlare, fare merenda, e poi inventare storie.

 

 

Sul set ci andava?

Sì. Mi piaceva l’atmosfera magica del set. Quando si diceva ‘azione!’ cambiava tutto. Da gente che due secondi prima scherzava, sul set, nascevano emozioni vere, profonde, brucianti.

 

 

Lei ha anche diretto suo padre.

Sì: l’ho ritrovato quando abbiamo girato la pubblicità di un caffè. Che è stata la prima pubblicità seriale della tv italiana. Poi abbiamo fatto un film, Meglio tardi che mai, girato all’Avana, e una serie tv, Un commissario a Roma….

 

 

Suo padre non amava viaggiare. Come lo ha convinto a girare all’Avana?

La prima cosa che mi ha detto è stata: "Ma il cinema è finzione, si può ricostruire tutto, perché non giriamo a Fregene?.

 

 

nino manfredi pubblicità lavazzaChe cosa le è rimasto più nella memoria, dell’arte di suo padre?

I suoi sguardi. Quel suo modo di dire le cose tristi con un sorriso, e seriamente le cose allegre. Certi suoi sguardi disarmati.

 

 

Molti italiani lo hanno sentito come uno di loro.

Perché non ha mai dimenticato le sue origini, il fatto di essere nato povero.

 

 

A casa viveva anche l’ansia di questo mestiere?

Non riusciva a mascherarla troppo. Come tutti i grandi artisti, sapeva che l’insuccesso era sempre dietro l’angolo. E la tensione, l’ansia era un’ondata che ci investiva sempre.

 

Come vorrebbe che fosse ricordato?

Come un grande, umile artigiano del suo mestiere.

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