"Shaft" di John Singleton

Oramai il John Shaft del 2000 è un simbolo non più puro, che porta con sé l'onta della contaminazione con una società che gli ha concesso "privilegi" pagando irrimediabilmente il dazio della corruzione

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Sull'orizzonte di Manhattan si ergono le torri gemelle, siamo nel 2000 e non sono state ancora p(r)estate al terreno come fossero concime naturale, sostanze nutritive che prima o poi verranno riutilizzate come fertilizzante del sempreverde appezzamento capitalistico. In questo teatro lo Shaft dell'omonimo film si muove orgoglioso della sua blackness griffata Armani, in incolpevole ritardo sugli eventi che l'anno venturo mineranno le verticalità della sua città e, attenzione, del suo nome. Oramai il John Shaft del 2000 è un simbolo non più puro, che porta con sé l'onta della contaminazione con una società che gli ha concesso "privilegi" pagando irrimediabilmente il dazio della corruzione. Non c'è differenza tra il John Shaft di Singleton e il Pierre Delacroix di Spike Lee. "Shaft", infatti, ha debuttato in America assieme a "Bamboozled" ed è conturbante notare come le due pellicole siano così inerenti, nel senso che Singleton pavoneggia ciò che Spike Lee denuncia. Se "Bamboozled" è una intelligente satira contro la televisione americana, contro lo stereotipo nero, "Shaft" rinvigorisce i fasti di questo stereotipo, "Shaft" è la rivisitazione tremendamente tarda di un genere, quale quello denominato blaxploitation, che forse, e sottolineiamo forse, aveva modo di esistere ed esprimersi solo negli anni in cui lo hanno visto esplodere.
Ma facciamo un passo indietro, parlavamo di verticalità. La locandina originale del film di Singleton, a differenza di quella italiana, si erige, è il caso di dirlo, su una tripartizione verticale: a sinistra l'Empire State Building, al centro John Shaft, a destra, in color metallo, il titolo del film, che c'è di strano? Beh, niente, a meno che non la si voglia intendere come una tautologica e allegorica conferma, fallica (la parola "shaft" significa asta, stanga, manico lungo, tubo), dell'affermazione dell'Io (di una razza), del suo potere e della sua virilità. Questo è il blaxploitation? Certo, non c'è nulla di strano, ma a vedere questo film dopo il 9/11, dopo la "potatura" che la verticalità della giungla manhattiana ha subito, dopo il taglio netto ai danni della città più "virile" del globo, il suo significato si fa carico, a sua insaputa, di un'inquietante, grottesca e scaduta pantomima di una negritudine che ha forse perso quella qualità che Norman Mailer ravvedeva in George Foreman: la Quintessenza. Quella che "Bamboozled" cerca di far riemergere seppur drammaticamente.
Non c'è nulla da dire, il film di Singleton è ben confezionato, ma con i tempi che corrono e ci soccorrono, sarebbe sensato prendere la strada di uno Spike Lee, riflettere sui danni che negli Stati Uniti una cellula balorda della tanto agoniata integrazione razziale sta portando all'orgoglio nero, piuttosto che lanciare fendenti, come quelli che dividono le sequenze di "Shaft", al senso di quella stessa integrazione.
Forse è un discorso moralistico e non è certo il discreto film di Singleton che ce lo suggerisce, ma se mai il terremoto degli eventi e il singulto che la loro estetica dovrebbe imporci.
Anzi, se vogliamo dirla tutta e per non far del torto ulteriore al film, a ben vedere ci sono paio di scene che confermano una presa di coscienza da parte del regista sull'insana contaminazione delle razza bianca con quella nera. Non è forse con uno tubo (shuft, per l'appunto) che il bianco della upper class colpisce il ragazzo nero uccidendolo, e a sua volta la mamma di quest'ultimo non è con una piccola rivoltella cromata, oggetto di design da borsetta degno di una signora ariana, che vendica il figlio?
Sono questi minimi segni di contrappasso del genere blaxploitation?
Titolo originale: Shaft
Regia: John Singleton
Sceneggiatura: Ernest Tidyman, Shane Salerno, Richard Price, John Singleton
Fotografia: Donald E. Thorin
Montaggio: Atonia Van Drimmelen, John Bloom
Musica: David Arnold, Isaac Hayes
Scenografia: George De Titta Jr.
Costumi: Ruth E. Carter
Interpreti: Samuel L. Jackson (John Shaft), Vanessa L. Williams (Carmen Vasquez), Jeffrey Wright (Peoples Hernandez), Christian Bale (Walter Wade Jr.), Busta Rhymes (Rasaan), Dan Hedaya (Detective Jack Roselli), Toni Colette (Diane Calmieri), Richard Roundtree (Uncle John Shaft)
Produzione: Paul Hall, Steve Nicolaides, Mark Roybal, Scott Rudin, Adam Schroeder
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 99'
Origine: Stati Uniti, 2000

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