"O come Otello" di Tim Blake Nelson

Nell'ennesima rivisitazione per lo schermo di un'opera del drammaturgo inglese il testo rivive il proprio destino trascinando dietro di sé, con la forza di una storia eterna, le componenti postmoderne del rimaneggiamento che vorrebbero farne un mero canovaccio.

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"Shakespeare, scrive per il cinema?" è l'ironica domanda che, a metà film, il protagonista Hugo si lascia scappare, inserendo una nota di consapevolezza metacinematografica all'interno del già definito susseguirsi degli accadimenti. Nell'ennesima rivisitazione per lo schermo di un'opera del drammaturgo inglese è stavolta l'Otello la traccia di un'irreversibile conflitto tra cecità della gelosia e verità dell'amore, tra ambiguità dell'invidia e ingenuità della paura. Trasferendo la vicenda in un liceo privato nel sud degli Stati Uniti, il testo scespiriano rivive il proprio destino trascinando dietro di sé, con la forza di una storia eterna, le componenti postmoderne del rimaneggiamento che vorrebbero farne un mero canovaccio. Il tentativo di aggiornamento dei temi, con la presentazione della violenza nelle scuole, del sesso tra adolescenti, delle droghe e dell'integrazione razziale finisce però per eclissarsi dietro l'ineluttabilità dei sentimenti primari che diventano, immediatamente, gesti esemplari ed inevitabili.  

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Lo spostamento temporale diviene condizionamento del presente che cerca simboli universali nelle sue manifestazioni. E se la musica classica accompagna i deliri di potere del torbido Hugo/Iago è l'hip hop a combinare il candore ed il furore del misero Odin/Otello. Come una danza i due ritmi si succedono armoniosamente ripercorsi dai movimenti alternatamente sinuosi e a scatti della m.d.p. Momenti trionfali si rimescolano in stasi di intimità dove la condensazione del gesto sedimenta e matura la sua dimensione attualizzante. Il primato della classicità impone il suo stampo alla pellicola che lascia docilmente piegare la sua singolarità all'irrimediabilità del già scritto. Una sorta di timidezza, di soggezione davanti al testo, impedisce uno sviluppo autonomo o per lo meno "digerito" rispetto alla matrice letteraria. Ciò si riversa nella scelta dei nomi dei personaggi la cui piccola alterazione sembra dovuta più alla deferenza riguardo all'originale che ad un moto di indipendenza. E lo conferma il titolo che non ha neanche bisogno di pronunciare il nome per intero ma si accontenta di suggerirne l'iniziale: "O". 


Lo stesso riprendere necessariamente gli attori dal basso o dall'alto conferisce una verticalizzazione dei corpi costitutiva dell'impianto epico. Il regista,  Tim Blake Nelson (attore prima che cineasta), scolpisce, esclusivamente attraverso essi, il motivo del racconto veicolando il crescendo di rabbia e rancore nella coordinata opprimente dell'altezza. Ma tra una sequenza e l'altra, nella perversa tranquillità delle immagini da terra delle chiome degli alberi, la vigorosa indifferenza della natura  schiaccia  la frenesia degli atti alla loro fatalità così come la stratificazione culturale del dramma elisabettiano impedisce una rielaborazione autonoma della materia.


 


Titolo originale: O
Regia: Timothy Blake Nelson
Sceneggiatura: Brad Kaaya da William Shakespeare
Fotografia: Russell Lee Fine
Montaggio: Kate Sanford
Musica: Jeff Danna
Scenografia: Dina Goldman
Costumi: Jill M. Ohanneson
Interpreti: Mekhi Phifer (Odin James), Josh Hartnett (Hugo Goulding), Andrew Keegan (Michael), Julia Stiles (Desi Brable), Rain Phoenix (Emily), Martin Sheen (coach Duke Goulding), John Heard (Dean Brable), Elden Henson (Roger Rodriguez), Anthony Johnson (Dell), Rachel Shumate (Brandy)
Produzione: Daniel Fried, Eric Gitter, Anthony Rhulen per Chickie the Cop/Daniel Fried Entertainment/Filmengine/Rhulen Entertainment
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 95'
Origine: Usa, 2001


 

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