"People I know", di Dan Algrant

“People I know” è l'ennesimo lavoro del e sul corpo di Al Pacino, vera e propria enciclopedia vivente dell'immaginario culturale contemporaneo. Cinema d'a(u)ttore che si replica automaticamente come pochi altri vincendo ogni didascalismo, ogni dittatura del controcampo, ogni rimando interno.

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Non c'è  motivo plausibile d'interesse in People I know che non sia l'ennesimo lavoro del e sul corpo di Al Pacino, vera e propria enciclopedia vivente dell'immaginario culturale contemporaneo. Cinema d'a(u)ttore che si replica automaticamente come pochi altri vincendo ogni didascalismo, ogni dittatura del controcampo, ogni rimando interno. Anche quando è inserito in una accurata operazione nostalgia anni '70 in compagnia di Kim Basinger, Ryan O'Neal e un Robert Redford produttore esecutivo (triade dall'effetto rewind assicurato). Nostalgia riflessa negli occhi stanchi di Eli Wurman, famoso PR newyorkese ormai in declino, costruttore di celebrità varie, ora confuso e spaesato nella babele evanescente che ha contribuito a creare. Lo scenario cupo e maledetto fotografato da Peter Deming (cfr. i suoi lavori per Lynch, Corman) ci aiuta a vivere questo malessere afasico anche fisicamente, costretto ad una serrata se non ironica cronologia, cadenzata dalle ore e i minuti in sovrimpressione. L'uomo che ha visto di tutto per una notte vedrà troppo (è uno slogan, è un leit-motiv) e tra omicidi, attricette, orge, politicanti sarà ricattato e disturbato dal progetto cui tiene maggiormente, progetto legato idealmente all'America che più ha nel cuore, quella dei diritti civili, di Martin Luther King: una serata di beneficenza per un gruppo di nigeriani ingiustamente arrestati da un sindaco molto discusso. Il coinvolgimento della Manhattan che conta, della gente conosciuta, dei vari links che si crede di governare, mentre ci manovrano a loro volta dandoci un'identità artefatta, porterà ad un cortocircuito dei due livelli del racconto. Ma il pessimismo esistenzialista (l'influenza di Scorsese, produttore del precedente Vado a vivere a New York, è forse ingestibile) messo in campo dal regista porterà invece ad una condanna inappellabile per l'intera Big Apple pre-11 settembre, corrotta, egoista e appariscente, dallo star-system fino alle comunità etniche. Una metropoli troppo già metabolizzata e troppo già amata. Più una ri-vista che una svista. E il cadavere messo lì a fissare una TV che tutto banalizza ha un sapore come di autobiografico. Di ritorno. Non è questa la strada per la quale l'indipendenza professata da Redford può interdipendere con altre strutture. Non è solo suscitando curiosità nella figura chiave che si può rappresentare la decadenza di un meccanismo. Non è questa la "maniera" con cui un manierismo può ammaliare.

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Titolo originale: People I Know
Regia: Dan Algrant
Produttore: Michael Nozik, Leslie Urdang, Karen Tenkhoff
Sceneggiatura: Jon Rabin Baitz
Fotografia: Peter Deming
Scenografia: Michael Shaw
Montaggio: Suzy Elmiger
Musiche: Terence Blanchard
Scenografia: Michael Shaw
Costumi:
Interpreti: Al Pacino (Eli Wurman), Kim Basinger (Victoria Gray), Ryan O'Neal (Cary Launer), Tèa Leoni (Jilli), Richard Schiff (Elliot Scharansky), Bill Nunn (Lyle Blunt), Robert Klein (Sandy Napier), Mark Webber (Ross)
Produzione: Michael Nozik, Leslie Urdang, Karen Tenkhoff per South Fork Pictures. In associazione con Galena/Greenestreet, Chal Productions, In-motion A.G. e W.M.F. V.
Distribuzione: CDI/Medusa
Durata: 100'
Origine: Usa, 2002

 

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