"One hour photo", di Mark Romanek

Ha il coraggio di osare Romanek, perforando la cartina tornasole della stravaganza irrequieta della pazzia, trasformandola in normalità del desiderio, schizzato in orbite impensabili

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Quando ci capita di vedere una foto, è come se tornassimo indietro all'attimo in cui è stata scattata. I volti, catturati in estasi spensierate e sorridenti, non possono far altro che mostrare divertimento, sorpresa, tenerezza, come se il tempo fosse soltanto uno specchietto per le allodole tra tanti, uno specchio incrinato che dilata l'eternità dell'attimo in memoria della distensione. Devono piacergli molto le fotografie a Sy, commesso di un'azienda che sviluppa foto praticamente perfette in una sola ora. Ama il suo lavoro, a tal punto da esserne a sua volta riamato, visti i risultati che ottiene. Lo sviluppo è un'arte. Ci vuole passione, attenzione, disciplina. La maschera di cortesia che Sy offre ai suoi clienti non potrà mai uguagliare il carico di ansia accumulato nella camera oscura. E' bello godere delle foto altrui, come è sublime poter sentirsi anche solo per un attimo parte di un progetto di vita (fotogrammatico) da cui si è automaticamente esclusi. Vive di luce Sy, vive per lavorare. Non gli interessa troppo la luminosità del giorno, gli preferisce il reverbero acquatico del farsi dell'immagine. Sarà perché è solo, non ha nessuno da amare, se non un patchwork di foto dei suoi clienti che campeggiano sulla parete della sua squallida camera. La prima mezz'ora dell'opera di Romanek stordisce quasi nel far lievitare come niente la filigrana disperata di un fantasma dell'immagine che vive nell'oscurità dell'obiettivo. La freddezza geometrica del set d'altronde parla da sola, utilizzando un idioma che non fatica a convincerci, ma soprattutto ad affascinarsi. Nei dintorni di K-Pax, dalle parti di un territorio visivo in cui la luce stordisce, uccide, occlude. Che bello aver trovato un altro abitante della distanza, un nuovo K-paxiano sceso su questa terra per liberarci dalla nevroticità assillante del ritmo metropolitano. Sy non inforca un bel paio di occhiali oscuri, ma è come se vedesse il mondo da lenti differenti. Non lo scorgiamo quasi mai in strada, fuori dal suo laboratorio, in un esterno che non può contemplarlo. Gioca sul discrimine profondo della lontananza, si muove a suo agio soltanto intorno alle quattro mura del grande magazzino in cui lavora e nel suo movimento è impacciato, lento, obnubilato. E' il prodotto di una foto fatta male, di un'esistenza che non gli ha riservato un granchè di buono, a differenza di un mondo esterno che ha ancora la possibilità di vivere, di riprodursi, di fotografarsi. Non fa foto Sy, perché non può farle. Verrebbe fuori un'oscenità irriconoscibile, una devastazione cromatica avvolta dal buio melmoso della solitudine. Non gli resta che sviluppare il prodotto della normalità altrui, sognando di entrare a far parte un giorno di un bel quadretto idilliaco dalle proporzioni vagamente familiari.

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Ha il coraggio di osare Romanek, perforando la cartina tornasole della stravaganza irrequieta della pazzia, trasformandola in normalità del desiderio, schizzato in orbite impensabili. Se lo Spacey di K-Pax resterà per sempre avvolto nella spirale di un eterno ritorno (da uomo ad exteterrestre e via dicendo), il Sy di Robin Williams è fermo nella stasi dell'azione, coperto da un fascio di luci gelate che lo immobilizzano, proiettando però la sua immagine nel grigiore spietato di una metamorfosi che uccide. Il voler dare un nome agli abitanti delle foto non può che portare alla rovina, alla catastrofe, al raggelamento. Romanek non riesce a toccare i vertici di poesia dello spaesamento raggiunti da Softley, ma ha il coraggio di filmare con un buona dose di rischio il disagio della normalità, sublimando le gesta anomale del suo meraviglioso Williams in ordinarietà toccante del bisogno d'amore. E' un cinema questo ancora capace di dirci qualcosa di noi.


 


Titolo originale: One Hour Photo
Regia: Mark Romanek
Sceneggiatura: Mark Romanek
Fotografia: Jeff Cronenweth
Montaggio: Jeffrey Ford
Musica: Reinhold Heil, Johnny Klimek
Scenografia: Tom Foden
Costumi: Arianne Phillips
Interpreti: Robin Williams (Seymour "Sy" Parrish), Connie Nielsen (Nina Yorkin), Micheal Vartan (Will Yorkin), Gary Cole (Bill Owens), Eriq la Salle (Detective Van Der Zee), Dylan Smith (Jakob Yorkin), Erin Daniels (Maya Burson), Paul H. Kim (Yoshi Araki), Lee Garlington (cameriera), Marion Calvert (Mrs. Von Unwerth)
Produzione: Christine Vachon, Pam Koffler, Stan Wlodkowski per Catch 23 Entertainment/Killer Films/Laughlin Park Pictures/Madjak Films
Distribuzione: 20th Century Fox
Durata: 96'
Anno: Usa, 2002 


(Francesco Ruggeri)

 

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